SIAE, non è una tassa ma così non funziona – di Guido Scorza -

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Tra storie di ispettori SIAE che si presentano la notte di capodanno a riscuotere diritti per la musica che anima feste private in strutture che ospitano disabili, la mozione approvata dai giorni scorsi dal Consiglio Regionale della Lombardia per cancellare ogni compenso dovuto per le manifestazioni organizzate dalle amministrazioni locali e dalle associazioni senza scopo di lucro e la dura risposta della Società italiana autori ed editori, il 2016 della SIAE non si è certo aperto nel modo migliore possibile.

Ancora una volta la Società autori ed editori che fu di Verdi e Carducci attira l’attenzione persino di un’istituzione pubblica come un Consiglio Regionale non per i propri meriti nel supporto o nella promozione della cultura nel nostro Paese ma, al contrario, per la rigidità e irragionevolezza delle proprie regole e del proprio agire.

Prima di proseguire, però, val la pena mettere un chiaro una questione per evitare ogni equivoco o fraintendimento: chiunque usa musica altrui nell’ambito di qualsivoglia manifestazione, evento, festa o festino è giusto che chieda il permesso al titolare dei diritti e/o a chi lo rappresenta perché, in fondo, utilizza lo sforzo dell’attività creativa di quest’ultimo per scopi più o meno nobili e/o per far soldi piuttosto che, semplicemente, per intrattenere chicchessia.

Questo principio non ha niente a che fare con le tasse ma rappresenta, al contrario, una regola basilare di civiltà e buon senso: per usare qualcosa di qualcun altro, si chiede permesso che si tratti di un oggetto materiale o immateriale come i diritti d’autore.

Sgombrato, tuttavia, il campo dal rischio di equivoci, non si può nascondere che se così tanto frequentemente soggetti pubblici e privati percepiscono regole ed azioni della società di Viale della letteratura come più simili a quelle di un odioso esattore delle tasse che a quelle di un ente – peraltro pubblico – di promozione e tutela del patrimonio culturale italiano una ragione deve pur esserci e si tratta, evidentemente, di una ragione sulla quale la SIAE, chi la governa e chi, nel Governo, dovrebbe vigilare sul suo operato, farebbero bene ad interrogarsi.

Passi che il gestore di un bar percepisca come un balzello anziché come un sacrosanto compenso per diritti d’autore il corrispettivo della licenza che paga, ogni anno, alla SIAE ma che la percezione sia analoga anche da parte di un Consiglio Regionale come quello della Lombardia sembra, davvero, il segno tangibile che qualcosa non funziona.

E che qualcosa non funzioni, in effetti, è indubitabile.

Tanto per cominciare non funzionano le regole del gioco imposte dalla SIAE e non dalla legge sul diritto d’autore.

Mentre, infatti, è sacrosanto che un autore abbia diritto a farsi pagare anche quando la sua musica è utilizzata in una festa privata alla quale partecipano persone meno fortunate come i disabili o in un evento organizzato da un’amministrazione pubblica se lo desidera è meno ragionevole – ed anzi del tutto irragionevole – che un autore non sia in condizione di rinunciare a qualsivoglia compenso solo ed esclusivamente quando la sua musica è utilizzata in occasioni di questo genere.

Non c’è ragione al mondo per la quale un autore dovrebbe essere privato della libertà di lasciare che la sua musica sia utilizzata, per scopi non commerciali, da chicchessia – o solo da talune categorie di soggetti – senza incassare neppure un euro.

Eppure, ad oggi, un autore iscritto alla SIAE una scelta tanto semplice e nobile al tempo stesso, non la può fare.

Né, d’altra parte, chi organizza un evento senza scopo di lucro ha la possibilità di scegliere in un repertorio firmato SIAE una playlist, utilizzabile senza pagare ciò che, magari, non si può permettere e senza con ciò sentirsi pirata.

Questa regola figlia esclusivamente dell’incapacità della Società autori ed editori di gestire la raccolta ed il riparto dei diritti d’autore in modo più moderno e meno da gabelliere che da ente culturale è una regola che deve essere cambiata ed in fretta.

Lo impone, tra l’altro, la Direttiva dell’Unione europea che il nostro Paese dovrà attuare al più tardi in primavera nella quale, non a caso, il legislatore di Bruxelles ha messo nero su bianco che “Occorre che gli organismi di gestione collettiva che gestiscono diversi tipi di opere e altri materiali protetti, come opere letterarie, musicali o fotografiche, permettano ai titolari dei diritti di gestire in maniera altrettanto flessibile i diversi tipi di opere e altri materiali protetti. Per quanto concerne gli utilizzi non commerciali, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché gli organismi di gestione collettiva prendano i provvedimenti necessari per assicurare che i titolari dei diritti possano esercitare il diritto di concedere licenze in relazione a tali utilizzi. Tali provvedimenti dovrebbero includere, tra l’altro, una decisione dell’organismo di gestione collettiva in merito alle condizioni relative all’esercizio di tale diritto nonché la fornitura di informazioni ai membri su tali condizioni.”.

Ma regole a parte, se la SIAE vuole scrollarsi di dosso l’immagine che l’accompagna ormai da decenni di un carrozzone inefficiente e poco trasparente è fondamentale che restituisca ai titolari dei diritti – che si tratti degli autori o degli editori – maggiore libertà nella gestione dei propri diritti e nel rapporto con gli utilizzatori.

In assenza, infatti, siamo condannati a continuare ad assistere al divaricamento di una frattura che già oggi appare difficilmente sanabile tra utilizzatori delle opere e titolari dei diritti che fa apparire le due categorie più rivali e contrapposte che componenti di una stessa società unita da un patto sociale profondo come quello che, per decenni, c’è stato tra chi produce arte e cultura e chi la utilizza.

Fonte [L’Espresso]

 


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