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LA REPUBBLICA del 3 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Un manipolo di italiani residenti in Finlandia sta organizzando un sit-in di protesta in occasione dell´arrivo di Berlusconi a Helsinki. Più che a una qualche forma di agitazione politica, la micro-mobilitazione fa pensare a un´impellente quanto basica necessità di autodifesa. Non c´è italiano in trasferta che non patisca l´asfissiante compatimento e la sistematica derisione degli altri europei. La domanda fissa che ci rivolgono è: «Come avete potuto ridurvi così? Come è stato possibile? ». Giornali e siti stranieri grondano ilarità e disprezzo per una leadership che, ai loro occhi, non è più neanche improponibile: è inverosimile. Non riescono a farsene una ragione, se non alludendo a una sorta di minorità civile e culturale del nostro povero Paese. Un amico appena rientrato dalla Germania mi ha detto, affranto, che la raffica di domande irridenti su Berlusconi era tale da averlo quasi indotto a dare risposte irritate, ai limiti della maleducazione. Il sit-in finlandese, in questo quadro, serve a evitare la penosa incombenza di dover rispondere a quello stillicidio insopportabile di domande beffarde. I partecipanti non manifesteranno contro Berlusconi, ma per se stessi: sperano che i finlandesi, vedendoli, capiscano che non è a loro che devono chiedere conto della nostra ridicola tragedia. 

LA REPUBBLICA del 3 aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Elogio di un truffato. Il truffato è il mio vecchio, caro amico David Riondino, ottimo poeta satirico (suggerisco "Rombi e milonghe", Feltrinelli), attore, conduttore radiofonico, dicitore di vaglia come i fiorentini migliori. È di quelli che hanno perso il loro gruzzolo affidandolo al Gatto e alla Volpe dei Parioli. Ha rilasciato un´intervista (a Capponi del Corriere) che mi ha fatto inumidire gli occhi per quanto era serena, intelligente e pulita. Dice, in sostanza: sì, mi hanno turlupinato. Sono stato grullo. Ma siccome non ho mai creduto di valere per quello che ho, me ne sono fatto una ragione. Rido di me stesso e guardo avanti. Ho denunciato i miei truffatori, ma li ringrazio perché per una decina d´anni mi hanno fatto credere di essere un benestante. In un Paese che invidia i furbi, e deride gli ingenui, faccio un applauso solitario a David. No, non è un merito perdere quattrini, specie se se ne hanno pochi. Ma è un merito inestimabile sorridere alla sfortuna, allargare le braccia e dire: scusate tanto, ma tra le mie poche virtù la furbizia manca. Poi mi ricordo mio padre: «Guarda che gli onesti, alla lunga, vincono sempre». Purtroppo non è vero. Ma è vero che, anche quando perdono, perdono meglio. 

LA REPUBBLICA del 24 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Al glorioso liceo Parini in Milano un gruppo di insegnanti ha chiesto il trasferimento. Motivo: non sopportano più l´invadenza di alcuni genitori, che secondo i docenti in fuga sarebbero prodighi di consigli quanto di insulti e minacce. Sia o non sia eccessiva la suscettibilità dei prof, la questione sollevata è di assoluto rilievo. Riguarda l´autonomia della scuola pubblica, che non è insidiata solamente dalla grettezza ostile del governo, o dal ventilato ingresso di imprecisati "sponsor privati". Anche la famiglia, che in Italia è un´istituzione meritevole quanto ingombrante, minaccia l´autonomia della scuola nei (tanti) casi in cui genitori-sindacalisti e genitori-avvocati pretendono di ficcare il naso in faccende come la didattica e la disciplina, e sempre per difendere o giustificare i figli non ancora bamboccioni, ma già – con genitori così – sulla buona strada per diventarlo. Non so se, sull´argomento, la mia opinione sia rivoluzionaria o reazionaria, ma la famiglia deve stare il più possibile lontana dalla scuola. La scuola è il primo luogo dove i figli sono (finalmente!) sottratti alla protezione dei genitori. Siano ottimi o mediocri o pessimi i docenti, è affare dei ragazzi imparare a conoscerli e fronteggiarli, cominciando a prendere le misure della vita. Poiché il familismo italiano non conosce argini né pudore, sarebbe bene che qualcuno cercasse di fermarlo almeno sul portone di un liceo. 

 LA REPUBBLICA del 9 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Pare che non poche delle Papi-girls, spalleggiate da quegli implacabili press-agent che sono le madri e i padri, considerino basso il salario e miseri i regali, e nelle loro ciance telefoniche lamentino la "tirchieria" del principale. Se avessero il tempo, nei pochi momenti di relax, di leggersi qualche bigino di storiae di economia, capirebbero che l’ andamento di tutti i mercati – compreso quello della Jolanda, come direbbe la Littizzetto – risente dei tempi e delle condizioni date. Nell’ ancién regime il monarca, essendo lui stesso lo Stato, disponeva di forzieri inesauribili, e poteva concedersi tante manutengole quante ne voleva. Almeno fino a che qualcuno, anche per ripianare il deficit, lo decapitava (altre epoche, altri tagli). Oggi quei tempi dorati sono irripetibili, e un povero premier, per quanto dal portafogli smisurato, non è in grado di emulare quei fasti. E deve farei conti, poi, con la canea abbaiante dei moralisti (tra i quali mi schiero, arf arf) che fanno le pulci perfino al modico conto lasciato al Cipriani di Venezia dalla grande attrice bulgara Bonev (l’ amica Bonev), 97mila miserabili euri, cifretta equivalente allo stipendio (lordo) di quattro anni di un operaio. Non disponendo, il Re Papi, delle riserve auree di Bankitalia, gli tocca tribolare perfino per quel saldo veneziano: e non ha ancora ricevuto il conto della gondola… Non c’ è trippa per le gatte: non per tutte, almeno. Facciano una cassa comune di solidarietà in vista dei periodi grami. È un mestiere, quello, che dura pochi anni. 

LA REPUBBLICA del 6 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Non so se addebitare a moralismo o puritanesimo (le due categorie nelle quali è di moda rottamare quasi ogni opinione o giudizio) la morsa allo stomaco che mi prende ogni volta che sento su Sky il "promo" televisivo di un popolare noir a puntate nel quale si promette, testualmente, "sesso e sangue" a caterve. L´archetipo è quello stentoreo delle fiere di una volta (venghino signori a vedere la donna barbuta e l´uomo serpente!), però il pathos televisivo lo potenzia e insieme lo muta, rendendo efferato e seducente ciò che nella grida di piazza era solo goffo e naif. 

Sesso e sangue, naturalmente, non sono ingredienti di poco conto, e da sempre innervano romanzi (come quello, notevole, che ispira la serie televisiva), drammi teatrali, opere liriche e film. Solo che sventolarli sotto il naso del pubblico, come nemmeno il più rozzo dei pescivendoli si permette di fare con il cefalo o la seppia, ha qualcosa di irrimediabilmente volgare e basso. Questa volgarità e questa bassezza degradano il pubblico a una massa trucida, facile da abbindolare con gli effettacci, per la quale crimine, sesso e sangue sono un pacchetto irresistibile (per tutta la famiglia?). Può darsi che parte del pubblico sia abbastanza inebetito da non accorgersene. Ma un´altra parte, della quale faccio parte, cambia canale alla velocità della luce. 

LA REPUBBLICA del 25 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Con una scelta furbissima (la furbizia è la virtù di chi non ne possiede altre), il governo ha restituito qualche milione di euro a cultura e spettacoli caricandoli sul prezzo della benzina. Dando così modo al Giornale di sparare in prima pagina il ridicolo titolo "Benzina più cara? Colpa di Nanni Moretti", che aggiunge alla montagna d´odio accumulata negli anni contro la "cultura radical chic" una ulteriore cucchiaiata di cacca. Se a questo piccolo sfregio si aggiunge la nomina ai Beni Culturali di Giancarlo Galan, che può anche essere un genio della politica ma con i problemi della cultura ha la stessa dimestichezza che io ho con la cibernetica, si completa un quadro agghiacciante. La nomina non è stata fatta perché serviva un ministro dei Beni Culturali, è stata fatta perché serviva dare un ministero qualsivoglia a Galan (così come serviva dare un ministero, quello dell´Agricoltura, alla famelica pattuglia dei Responsabili: la cosa pubblica usata come moneta politica). Siamo di fronte alla somma aritmetica del peggio della Prima Repubblica (strapotere dei partiti) e del peggio della Seconda (strapotere dei mediocri). È una somma il cui risultato è zero per il Paese, molto per i suoi padroni politici. 

LA REPUBBLICA del 5 aprile 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dice il luogo comune che solo nei momenti di crisi gli italiani sanno dare il meglio. Se ne deduce che no, non siamo in crisi, visto che è il peggio quello che ciascuno continua a esibire. Berlusconi, da quando è sotto processo per storie di prostituzione, sciorina compulsivamente una serie di barzellette sconce, retrocedendo dal suo trend abituale (l´avanspettacolo) a un gradino sotto (coscritti in visita di leva). La Lega, alla quale il 17 marzo non ha insegnato nulla, presenta un progetto di legge sugli "eserciti regionali" che è la malacopia arrogante di precedenti sortite su ronde, "battaglioni padani" e affini. E un suo senatore, tale Stiffoni, recita a Radio 24 un rosario di banalità razziste che sta facendo il giro del web. L´opposizione, dalla quale si attende disperatamente un segno solenne e innovativo di unità, è una galassia destrutturata di alleanze impossibili e di progettini fantasiosi, con quattro "nuovi centri" (Fini, Rutelli, Casini, forse Montezemolo e avanti il prossimo) e una sinistra spaccata al suo interno come e più di prima, con leader nuovi e vecchi che antepongono la disistima reciproca e la lotta intestina a qualunque possibile bene comune. E dunque, non c´è niente da preoccuparsi. Fossimo davvero in crisi, l´ignobile e il rissoso muterebbero in nobile e pensoso. Quando il premier riuscirà a partecipare a una riunione senza sghignazzare su culi e tette, vorrà dire che siamo entrati ufficialmente in crisi. 

LA REPUBBLICA del 10 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Potessi avere la soluzione di uno dei tanti misteri italiani, ne sceglierei uno apparentemente molto minore, ma carico di significati reconditi: l´autosospensione del ministro della Cultura Sandro Bondi. Da circa tre mesi è chiuso in casa, esacerbato e offeso dall´ostilità dell´opposizione ma anche – si dice – da gravi incomprensioni con la sua parte politica. Non va a lavorare, vuole dimettersi ma non si dimette (né viene dismesso), e questo è già sbalorditivo perché scardina ogni regola e ogni convenzione tra un salariato (Bondi) e i suoi datori di lavoro (noi cittadini contribuenti). Ma ben al di là di questo scandalo "tecnico", si intuisce nel caso Bondi un travaglio umano che, se spiegato, potrebbe darci qualche prezioso elemento in più per capire quella sorta di incantesimo collettivo che chiamiamo berlusconismo. Devoto tra i devoti, innamorato del suo Capo con un trasporto tanto assoluto e indifeso da disarmare molti dei potenziali detrattori, quest´uomo passionale e vulnerabile si è dato improvvisamente alla fuga, disertando un impegno politico (Bondi è anche uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl) che pareva ferreo. Che gli è accaduto? Da chi e da che cosa fugge? Sapesse mai spiegarcelo, un giorno anche lontano, sono sicuro che capiremmo molte cose di questi anni, così spiacevoli, così illeggibili. 

LA REPUBBLICA del 6 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
 Nell’ asfissiante pressing che gli uomini del governo infliggono alla Rai, e alle persone che per la Rai lavorano e alla Rai portano ascolti e quattrini (Gabanelli, Santoro, Floris, Fazio, Dandini e a chi tocca tocca), c’ è un aspetto particolarmente grave e particolarmente insopportabile. Nessuno di questi censori, regolamentatori, suggeritori ha ombra di titolo professionale per dare lezioni di televisione a persone che la televisione la fanno – e bene – da una vita. Non ne sanno niente, e se discettano di un prodotto della cui natura e della cui fattura ignorano tutto, è solo in virtù di un mandato politico. Sono, di fatto, pretoriani di partito che fanno irruzione in una fabbrica pretendendo (come fa l’ onorevole Butti con la sua ridicola proposta di “alternanza dei conduttori”) di insegnare alle maestranze di quella fabbrica come si lavora. E il colmo è che accusano di “politicizzazione” (proprio loro, che senza un mandato politico in Rai non potrebbero mettere piede nemmeno come figurante) interi pezzi di palinsesto, guarda caso tra i più premiati dagli ascolti. La pura veritàè che del prodotto non gli importa un fico, e anzi (vedi il caso di “Vieniviaconme”) li rattrista un’ impennata di ascolti che, fossero davvero interessati ai destini della Rai, dovrebbe farli felici. Al di là del tentativo di controllo politico, quando li senti parlare lasciano l’ impressione di mediocri che odiano i meritevoli.

LA REPUBBLICA del 11 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Il reclutamento di Ferrara e (forse) Sgarbi nei palinsesti Rai è una buona notizia, perché aggiunge due voci non banali all´offerta televisiva. Chi non li sopporta (e sono in tanti) potrà rimediare con l´arma finale di ogni teleutente: cambiando canale.

Ma la buona notizia è fortemente condizionata dalle altre scelte della televisione pubblica. Se ai due nuovi ingressi dovessero corrispondere, come è nell´aria, epurazioni e soppressioni di programmi considerati «di sinistra», Ferrara e Sgarbi si troverebbero in una detestabile condizione: quella di rimpiazzi filogovernativi che vanno a maramaldeggiare su un campo di battaglia coperto dai cadaveri dei vinti. In una Rai già pesantemente berlusconizzata (i dati dell´Osservatorio di Pavia sui tigì di gennaio sono raccapriccianti) la puzza di regime sarebbe asfissiante, e definitiva. È quanto chiedono di fatto, con ottusa ferocia, giornali e giornalini di destra, catalizzatori, da anni, di un odio ideologico e perfino fisico per i cosiddetti "conduttori comunisti", in pratica tutti coloro che hanno il torto di non controfirmare le veline di governo. In un paese di sana costituzione democratica (e di davvero libero mercato) la sfida sarebbe solo sul terreno degli ascolti e dei risultati professionali. Poiché quel terreno, per i "conduttori comunisti", è stato fin qui vincente, restano, per combatterli, la delegittimazione giornalistica e il bavaglio politico.
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