LA REPUBBLICA del 8 maggio 2012
Le cinque stelle sono la grande novità, ma se i numeri contano qualcosa il vincitore delle amministrative è il Pd di Bersani. Parlarne bene è un esercizio talmente poco di moda che nessun commentatore, di destra di centro e soprattutto di sinistra, si azzarda mai a farlo. Ma è un dato di fatto che tra astensione dilagante, voto di protesta montante, semi-cancellazione di interi partiti (vedi il Pdl), il Pd è il solo partito tradizionale che mantiene il suo campo, e giganteggia al cospetto delle catastrofi altrui. Qualche merito lo avrà, dunque, questo partito per il quale nessuno spende mezza parola di elogio o di affetto (neanche i suoi elettori), con una linea politica vaga, un leader poco carismatico, un paio di scandali decisamente pesanti in casa (Lusi, Penati), un´immagine esterna tanto sfocata da irritare. Magari quel "radicamento nel territorio" che nei commenti degli ultimi vent´anni è stato considerato brevetto esclusivo della Lega ha qualcosa a che fare anche con il Pd. Magari ebbe ragione Bersani quando pochi anni fa, in un dibattito tivù, in uno dei suoi non frequenti scatti di orgoglio, disse a un giornalista di destra che diceva "popolo" e "gente" ogni tre secondi: "guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi".
LA REPUBBLICA del 21 aprile 2012
Impressionante la storia del ciclista Riccò, dopato, squalificato, recidivo, cacciato via dalle strade che aveva percorso da protagonista. Impressionanti la cecità e la spavalderia con la quale un ragazzo di vent´anni sciala il proprio talento e corre a perdifiato verso la rovina. Se capissimo che cosa ha in testa uno come Riccò, come e quando ha perduto il senso del limite e con esso quello della realtà, capiremmo qualcosa di molto importante anche di noi stessi e della nostra maniera di vivere. La nostra società è dopata ormai strutturalmente. Lo è a partire dalle sue fondamenta economiche: è dopata di debiti (pubblici e privati). Dopata di farmaci, di cibo, di impegni, di obiettivi da raggiungere, di delusioni da evitare. È dopata di applausi, di fracasso, di ritmo, di velocità, di insonnia, di desideri sempre nuovi, "derivati" come i prodotti finanziari guasti. Quelli che chiamiamo "drogati" sono solo le cavie (spesso volontarie) di un virus che avrà requie solo quando ci avrà contagiati tutti. Il virus (già isolato dagli antichi) della rana che, per diventare bue, si gonfiò fino a scoppiare.
LA REPUBBLICA del 22 maggio 2012
Il leghista Rovato – ma prima e dopo di lui tanti altri – fa lo spiritoso su Facebook a proposito del terremoto ("la Padania si sta staccando") perché non si rende conto che le stesse cazzate che si dicono in privato, se scritte e pubblicate, hanno diverso peso e significato. La pubblicazione del privato – letteralmente, la messa in pubblico del sé – è del resto la grande novità e il grande problema dell´epoca, ed è comprensibile che gli incauti, come il Rovato, ci inciampino. Nell´attesa che (in un paio di secoli?) si trovi una misura di massa, un´etica di massa per affrontare una questione fin qui limitata a giornalisti, scrittori, politici, credo sia importante che l´uso rozzo o violento o ´gnorante della parola pubblica non venga considerato alla stregua del famoso "prezzo inevitabile da pagare al progresso". Cioè: se uno dice una scemenza o una odiosità, bisogna rinfacciargliela, bisogna imputargliela. Non deve passarla liscia, è diseducativo. Il pregiudizio classista che ha retto per anni le televisioni ("al popolo basta la bassa qualità") ha già fatto abbastanza danni per traslocarlo pari pari al web, rassegnandosi al fatto che dare la parola a tutti equivalga a renderla vuota e volgare. Twitti? Sei su Facebook? Il tuo modello non dev´essere Rovato, dev´essere Dickens. Meglio: anche Rovato deve puntare a Dickens.
LA REPUBBLICA del 4 aprile 2012
Più che alla disonestà vera e propria, gli scandali della Lega fanno pensare alla disperata precarietà strutturale di un partito inventato da un fanfarone di paese, finto medico, cantante fallito, che per oltre vent´anni è riuscito ad abbindolare un popolo evidentemente abbindolabile. Tutto, nella storia leghista, è improvvisato e cialtrone, a partire da quel logo fantasma, "Padania", che non ha alcuna attinenza con storia e geografia e pare sortito da un partita notturna a Risiko annaffiata da troppo alcol. Proseguendo con il ridicolo crak del credito padano, l´inverosimile carriera politica del povero Trota, il cerchio magico con le fattucchiere e le badanti, l´università dell´Insubria, gli amiconi illetterati messi alla Rai per puro sfregio, i finti ministeri a Monza, gli elmi cornuti, gli affaroni in Tanzania… È quasi prodigioso che con ingredienti così poveri la grande simulazione di Bossi abbia potuto reggere così a lungo. È come se un "Amici miei" di basso rango fosse arrivato a governare un Paese. Poi i giudici, non per colpa loro, arrivano sempre dopo. Dopo che milioni di italiani l´hanno bevuta, ci hanno creduto, si sono tappati occhi e orecchie per non sentire e non vedere.
LA REPUBBLICA del 31 maggio 2012
Memorabile lo speciale di Bruno Vespa sul terremoto, l´altra sera. L´ho seguito per un paio d´ore, al tempo stesso ammirato e atterrito
dall´eccitazione quasi folle che la catastrofe aveva innescato nell´uomo e nel professionista. Parlando a mitraglia, con lo sguardo acceso, a volte mulinando una bacchetta per indicare mappe, coordinare inviati, ammonire geologi, Vespa ha in pratica gestito da solo i soccorsi. Punto alto della serata, il severo monito da lui rivolto a una terremotata affinché raggiungesse immediatamente, non si sa perché, un albergo di Reggio Emilia. La signora, costernata, non ne aveva alcuna voglia, ma le è mancato l´animo di dirlo, forse perché le dispiaceva deludere Vespa. Niente poteva sfuggirgli: discrepanze nelle carte telluriche, disponibilità di camere d´albergo nel raggio di centinaia di chilometri dall´epicentro, imprecisioni di sindaci e assessori sul numero esatto delle brande, delle cucine da campo, dei picchetti per le tende. Gli ospiti hanno potuto parlare pochissimo, anche perché dopo poche sillabe Vespa toglieva loro la parola per dire meglio di loro quanto avrebbero voluto dire. Sono rimasti per ore, muti e attoniti, seduti ai loro posti, chiedendosi anche loro perché era così urgente che almeno alcuni dei senzatetto raggiungessero immediatamente Reggio Emilia. Ma non hanno osato chiederlo.
dall´eccitazione quasi folle che la catastrofe aveva innescato nell´uomo e nel professionista. Parlando a mitraglia, con lo sguardo acceso, a volte mulinando una bacchetta per indicare mappe, coordinare inviati, ammonire geologi, Vespa ha in pratica gestito da solo i soccorsi. Punto alto della serata, il severo monito da lui rivolto a una terremotata affinché raggiungesse immediatamente, non si sa perché, un albergo di Reggio Emilia. La signora, costernata, non ne aveva alcuna voglia, ma le è mancato l´animo di dirlo, forse perché le dispiaceva deludere Vespa. Niente poteva sfuggirgli: discrepanze nelle carte telluriche, disponibilità di camere d´albergo nel raggio di centinaia di chilometri dall´epicentro, imprecisioni di sindaci e assessori sul numero esatto delle brande, delle cucine da campo, dei picchetti per le tende. Gli ospiti hanno potuto parlare pochissimo, anche perché dopo poche sillabe Vespa toglieva loro la parola per dire meglio di loro quanto avrebbero voluto dire. Sono rimasti per ore, muti e attoniti, seduti ai loro posti, chiedendosi anche loro perché era così urgente che almeno alcuni dei senzatetto raggiungessero immediatamente Reggio Emilia. Ma non hanno osato chiederlo.
LA REPUBBLICA del 11 aprile 2012
"Speriamo di riuscire a consegnare alle sue pronipoti un Paese almeno uguale a quello che lei ha lasciato a noi", scrive Concita De Gregorio salutando Miriam Mafai. È la fotografia di un passato potente e di un presente flebile. Non si potrebbe dire meglio il vuoto che ci lascia, andandosene, una grande generazione di italiani, quelli usciti dal fascismo e dalla guerra, quelli della rinascita e della Costituzione, quelli che ci sono stati madri e padri. Non so se la Storia li abbia per così dire favoriti – offrendogli di crescere e vivere dentro anni di ferro e di fuoco, temprati come lame – o se sia la nostra "normale" reverenza di figli a farceli vedere così forti, sereni, utili. Certo è che in questo evo sfarinato, divagante, si cerca e non si trova la materia viva che servirebbe a lasciare ai figli un Paese "almeno uguale". È vero che non si deve mai avere paura. Difatti da domani – prometto – non ne avremo. Ma oggi, leggendo di Miriam e della sua vita, è impossibile non concedersi un istante di sgomento. Come essere all´altezza di quell´energia, di quella semplicità? Da quali fonti attingere, se tutte o quasi (cultura, democrazia, socialismo, liberazione) paiono inaridite o inquinate? E se provassimo a barare, Concita? Se ai nostri figli, quando sarà il momento, noi presentassimo il bilancio di Miriam, spacciandolo per nostro?
LA REPUBBLICA del 20 marzo 2012
L´onorevole Gasparri gode fama di politico esperto. Conquistata per accumulo, perché Gasparri fa politica dall´età di circa otto anni. Ma quando parla di Rai l´esperienza gli basta appena a controllare la fuoruscita di fumo dalle orecchie, per salvare almeno le apparenze. È la sostanza che lo tradisce, e insieme a lui tradisce la disperata resistenza che il centrodestra oppone al più o meno dissimulato commissariamento che tutti gli altri partiti (perfino loro) caldeggiano come sola via d´uscita dagli orrori della lottizzazione. Le ragioni sono ovvie quanto insostenibili: durante la lunga stagione politica appena conclusa, Pdl e Lega sono riusciti a imbottire la Rai di loro uomini, quasi nessuno dei quali aveva titoli professionali per poterselo permettere (la destra ha pochi intellettuali di vaglia, e tutti accuratamente emarginati). Nello scandalo annoso della spartizione partitica, ecco lo scandalo specifico di una lottizzazione di così infimo livello da sembrare un vero e proprio boicottaggio: in quale altro Paese e in quale altra epoca, sennò, uno come Masi avrebbe potuto diventare il dominus della prima azienda culturale? Pdl e Lega sanno benissimo che, se in Rai dovesse mai prevalere il merito, per i loro uomini diventerebbe impossibile dirigere anche solo le previsioni del tempo.
LA REPUBBLICA del 28 marzo 2012
La senilità di Emilio Fede ha spessore romanzesco, tra Piero Chiara (nei momenti alti) e Fantozzi (nei tonfi). I cronisti che tentano di ricucirne la trama maneggiano ingredienti fantastici: bische, debiti di gioco, traffico di señorite in combutta con amiconi del bel mondo, imputazioni di prossenetismo, stremati giuramenti di eterno amore alla moglie come nei film di Germi. Ora – strepitoso sussulto per un ottuagenario – compaiono una valigia piena di quattrini e una misteriosa "amante cubana", che a noi piace immaginare molto matura, ma ancora in grado di accennare una rumba. La valigia sarebbe stata rifiutata da una banca svizzera, circostanza anch´essa stupefacente perché non si conoscono precedenti e le banche svizzere hanno fama di accettare valigie piene di qualunque roba, siano pure denti d´oro, scalpi umani o triglie andate a male. Ma il colpo di teatro che costringe il pubblico all´applauso lo aggiunge lui. Negando – ovviamente – l´esistenza di valigie, e anche della Svizzera, Fede denuncia "una manovra per farmi perdere la direzione del Tg4". Il pubblico trattiene il fiato. Chi vuole – dopo soli trent´anni di direzione, praticamente appena insediato – levare il Tg4 a Fede? I comunisti? I creditori? Al Qaeda? Il marito dell´amante cubana? Vogliamo la prossima puntata. Presto!
LA REPUBBLICA del 12 aprile 2012
Se "il popolo" è quello cristallizzato negli anni dal leghismo, come si fa a fidarsene, e a volerlo al potere? La grande intuizione del socialismo era che il popolo, nei secoli sfruttato e soggiogato, dovesse liberarsi prima di tutto della propria subalternità. Che fosse ignorante, e dunque dovesse studiare. Che fosse abbrutito, e dunque dovesse elevarsi. Che per sconfiggere i ricchi, i padroni, i borghesi, i preti, e chiunque altro lo tiene in soggezione, il popolo dovesse diventare migliore di loro. Il male imperdonabile che i leghisti hanno fatto a se stessi è piacersi così com’erano, gongolare per i modi rozzi, specchiarsi in un capo becero. La catastrofe del "cerchio magico" è figlia – anche – di un ambiente che pretende tutto per se stesso, ma non pretende nulla da se stesso. Un ambiente povero di cultura e di ambizioni sociali e umane, goffamente convinto che un diploma-patacca (pagato a caro prezzo, e non di tasca propria) possa fare da foglia di fico, come i titoli nobiliari fasulli a Napoli. Non si cade così rovinosamente se non si è, al tempo stesso, indifesi e presuntuosi. Indifesi come il popolo è sempre stato; presuntuosi come il popolo diventa quando demagoghi come Bossi e i suoi complici lo convincono di essere potente e invincibile. Ingannandolo a morte.
LA REPUBBLICA del 29 marzo 2012
L´atroce rogo di Bologna davanti alla sede di Equitalia non è certo il solo episodio che ci parla della solitudine e della disperazione di molti lavoratori autonomi, artigiani, piccoli imprenditori nella tempesta della crisi. Oscar Giannino ha dedicato (meritoriamente) un´intera puntata della sua trasmissione radiofonica alla catena di suicidi (per debiti) che ha scosso il Nord-Est, dando rilievo e voce all´iniziativa di un sindacalista della Cgil veneta che cerca di costruire, attorno a queste solitudini, una rete di solidarietà. A differenza di Giannino io sono statalista. Forse proprio per questo non riesco ad accettare che lo Stato non sia in grado di distinguere tra i ladri evasori e i galantuomini che non hanno liquidità per pagare le tasse. Sono proprio questi ultimi che avvertono in modo lacerante il peso del loro debito: l´evasore, delle proprie inadempienze, è orgoglioso, il cittadino onesto ne è sopraffatto, ne avverte la vergogna. Non è possibile che non esista, per chi è onesto ma non ha più fiato, per chi lavora ma non ha più margine economico, una zona di tregua, una camera di compensazione che lo aiuti a sopravvivere e a ricostruirsi una solvibilità. Un Fisco ottuso serve solo agli evasori per avere un alibi in più.