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LA REPUBBLICA del 4 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Per un miscredente come me, desta una certa impressione accorgersi che nei commenti a caldo sull´esecuzione del genocida Bin Laden la sola voce che senza esitazione ha ammonito a "non esultare" di fronte alla morte di un uomo è stata quella della Chiesa romana. Non sono tra quelli che hanno esultato. Per non farlo, non avevo necessità di altra autorità se non quella del mio giudizio e – non so dirlo altrimenti – del mio imbarazzo. Eppure nei commenti ufficiali, anche quelli dei politici per i quali voto, non ho trovato uguale immediatezza, e forza, nel ricordare che ogni morte, anche quella di Caino, suggerisce di chinare il capo e fare silenzio. Non credo affatto che per vivere umanamente e per provare compassione sia indispensabile essere credenti. Proprio per questo, mi fa specie constatare che la Chiesa abbia così facilmente (e meritatamente) esercitato una sorta di monopolio della pietà e della compostezza. Voci laiche di uguale autorevolezza si sono udite, ma erano sperse e individuali. Né l´umanitarismo socialista né la compostezza borghese possiedono più un pulpito e un´organizzazione culturale e politica tali da essere in grado, in circostanze così decisive, di orientare gli animi, e dare sostanza collettiva ai sentimenti individuali. La voce della Chiesa non è la mia, ma l´ho udita, nelle ore della fine di Osama, con rispetto e gratitudine. 

LA REPUBBLICA del 28 aprile 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
«Credo che 31 anni di carcere siano sufficienti anche per chi è condannato all´ergastolo», dice Sabina Rossa in merito alla libertà condizionata dell´assassino di suo padre Guido, sindacalista comunista ucciso dalle Brigate Rosse perché "spia berlingueriana", uno dei tanti italiani di sinistra caduti negli anni di piombo. Sabina si è adoperata con discrezione, con altri quattro parenti di altre vittime del terrorismo, perché l´uomo che ha ucciso suo padre non trovasse ostacoli alla fine della sua lunga detenzione. Alle tante facili ciance sul "perdono", categoria emotiva che calza alla perfezione alla banalità mediatica, ecco sostituirsi, finalmente, un giudizio civile, razionale e umano, sulle leggi della Repubblica, la giustezza del castigo, la sua durata legittima, l´inutilità dell´accanimento che la vox populi così spesso invoca quando urla sguaiatamente che "bisogna buttare via le chiavi". Di Sabina Rossa, come cittadino italiano, io sono orgoglioso. Lo sarebbe anche suo padre Guido. Spero lo sia, o lo diventi, anche l´uomo che, con altri, tanti anni fa, uccise Guido, e nella misura umana di quella figlia, se ha voglia di farlo, può trovare le tracce della misura umana di quel padre, che credeva nella Repubblica e nelle sue leggi. Tra le quali la pena di morte non c´è. 

LA REPUBBLICA del 1 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Si sa che la politica, negli ultimi anni, non è molto rigorosa nella selezione del personale. Ma uno scambio di battute in pubblico come quello tra Bossi e Letizia Moratti, riportato ieri dai giornali, merita un richiamo per scarso rendimento perfino nel rudimentale mondo della politica nazionale. "Letizia, con il federalismo adesso hai i soldi per fare le cose, guarda che noi ti controlliamo…". "Guarda che se fai così scappo!" (risate degli astanti). "Pensavi di andare al mare nei posti dei ricchi, ma questa volta ti tocca lavorare!" (risate). "Umberto, dobbiamo portare il centro di produzione Rai a Milano! Con il tuo aiuto ci riusciremo!" (cori di Roma ladrona). "Adesso che hai i soldi se hai le idee puoi realizzarle, così la prossima volta che vengo a Milano non prendo tutte quelle buche, pum pum pum" (risate). "Con il federalismo le asfalteremo tutte!" (applausi scroscianti, tripudio della folla). Per scendere di un ulteriore gradino sotto questo ground zero concettuale e lessicale, potevano usare i verbi all´infinito, come gli indiani nei western degli anni Cinquanta: "Io essere amico! Io volere tu sindaco di Milano!" "E io riempire buche, così tua macchina non fare più pum pum pum!" Gli astanti si sarebbero ugualmente spellati le mani. 

LA REPUBBLICA del 3 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
La vulgata marxista dava troppo poco peso ai "personaggi" e molto alla società e ai conflitti di massa. Il racconto mediatico fa l´esatto contrario, è uno star-system fondato sul racconto di gesta e malefatte di un mutevole cast di "vip", appena mitigato da approfondimenti che al cospetto della chanson de geste dei telegiornali diventano subito pallosi. Tipicamente palloso – dev´essere per colpa della mia formazione – è il primo pensiero che mi è venuto in mente bevendo il caffè del mattino al cospetto del fu Osama. Il tempo di un piccolo, emozionato brindisi in memoria dei tanti ammazzati per colpa sua, e subito dopo l´idea che morto un capo se ne fa un altro. Non è come nei film e nei fumetti, che la morte del Cattivo chiude in bellezza. Il groviglio del mondo è ben più intricato e doloroso. L´umanità che a Times Square festeggiava l´happy end faceva tenerezza per la condivisibile esultanza quanto per l´inconsapevolezza di essere appena una delle parti in causa. Per altre piazze, più povere e turbolente, Osama era un eroe o al massimo un "fratello che sbaglia", e all´Occidente riservano lo stesso ruolo di Carnefice che noi, fin qui, abbiamo destinato a Bin Laden. E le masse dell´una e dell´altra parte, che la televisione usa solo per suggestive scene di contorno, sopravvivono alle star, e sono loro a fabbricare, oggi come ieri e domani, il nostro destino. 

LA REPUBBLICA del 4 maggio 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
L´orrido elettorale è una categoria antica, di manifesti e gadgets ridicoli i giornali fanno incetta da molti lustri, e fin dai tempi del "Votantonio" di Totò la vanità (e dunque la fragilità) del candidato è un classico del costume politico nazionale. Ma si trattava, sempre, di incidenti dovuti a goffaggine o ignoranza, del tutto preterintenzionali. Cioè: non lo facevano apposta. Oggi colpisce l´orgogliosa intenzionalità con la quale alcuni candidati (in genere giovani, sia detto fuor di polemica) adoperano l´allusione triviale o la battuta pacchiana, per esempio il tizio che si candida solo perché di cognome fa Pilu e dunque può scippare a Laqualunque lo slogan "Pilu per tutti", o quello che scrive a caratteri cubitali "scopiamo" sul suo manifesto, e di sotto, molto in piccolo, chiarisce che si tratta di scopare via la vecchia politica. Chi pensa che l´Italia è sempre la stessa probabilmente non ha tutti i torti, ma dimentica di dire che prima se ne vergognava, oggi impugna tutte o quasi le sue menomazioni civili e culturali con ridente sollievo. Il successo di Berlusconi non ha niente di arcano o di inspiegabile, molti italiani gli sono grati per avere innescato un irresistibile processo di autoassoluzione nazionale, se è il premier a pronunciare la battuta sconcia, e a fare le corna nelle foto ufficiali come un goliardo, anche il candidato Pilu si sente finalmente libero di scendere in campo. 

 LA REPUBBLICA del 13 novembre 2010

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca

Contestare Amos Oz per contestare la politica di Israele è come avere contestato,a suo tempo, Hemingway per la guerra di Corea, o Italo Calvino per la politica dei governi democristiani. Un assurdo in termini politici e logici: eppure è accaduto a Torino, ai danni di uno scrittore luminoso e di un uomo pacifico e sensibile al quale può essere imputato solo di essere israeliano (così come a Hemingway di essere americano e a Calvino di essere italiano). Con l’ aggravante che l’ imputazione, nel caso di un cittadino di Israele, finisce per essere sgradevolmente sospettabile di pregiudizio razziale. Poiché la questione mediorientale è gravida di morte e di dolore, gli schiamazzi incongrui sono particolarmente inopportuni. Più grave è più umanamente aspra è una contesa, più i toni dovrebbero farsi ugualmente gravi (la "gravitas" è una virtù, nonché un tono retorico, che non si concilia con le urla e la superficialità). In giro ci sono troppe Vestali dell’ Indignazione che confondono il volume della voce, e i toni rissosi, con la forza della parola e la giustezza delle cause. Ma la parola, dai loro rumorosi attacchi, esce indebolita, e la causa disonorata.

LA REPUBBLICA del 14 aprile 2011 

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Di fronte agli immigrati, avanguardia di un futuro sconosciuto e difficile, i leghisti danno in smanie, evocano le Brigate Rosse, alzano il tono già molto teso, sputano sull´Europa, invocano le armi. Su quella paura hanno campato, è stato il provvido concime del loro raccolto elettorale, del potere, del sottogoverno, degli stipendi pubblici (tanti) scuciti alla pur detestata Repubblica italiana. Ma di quella paura ora sembrano le prime vittime, come l´apprendista stregone che non sa governare ciò che ha evocato. Li fa straparlare, li rende poco lucidi, li espone allo spietato accostamento tra la potenza biblica di quelle immagini di mare, di morte, di destino, e la loro miseria verbale, così facile da rivendicare come un merito quando si tratta di "parlare come il popolo", così pesante da gestire quando sono la Politica e la Storia a chiedere campo, a pretendere grandezza, o comunque decenza, anche da quei piccoli uomini che siamo. Di fronte alla Storia siamo tutti goffi e impotenti, solo che lo sappiamo: a questo serve la cultura, a misurare la propria ignoranza. Della Storia abbiamo tutti paura, dell´immigrazione senza freni anche. Ma sbraitare sulla battigia è la sola cosa che non ci verrebbe mai in mente di fare, ad impedircelo è quel poco di vergogna che ci rimane, e il fiato è meglio tenerlo in serbo per raccogliere i cadaveri degli annegati. Specie se, come i leghisti, si è bravi cristiani. 

LA REPUBBLICA del 15 aprile 2011 

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
"Le Brigate Rosse usavano il mitra, i magistrati il potere giudiziario". Così disse il premier ai giornalisti stranieri, e perfino nel frastuono forsennato delle sue parole, e delle urla pro e contro che gli fanno cerchio, l´orribile paragone riesce a fare spicco per la sua sconcia stupidità. Uno sputo in faccia per chi in quegli anni vide magistrati cadere sotto il piombo brigatista (i giudici Galli e Alessandrini, il vicepresidente del Csm Bachelet), per i loro familiari, per gli italiani che di quel martirio hanno forte memoria. "La magistratura è un´associazione con finalità eversive", dice ancora: e di mestiere farebbe l´uomo di Stato, pensate un pò. Per quanto seduto sulla sua montagna di miliardi la sua voce ci arriva sempre dal basso. Non gli abbiamo mai sentito dire, in vent´anni, qualcosa di nobile o di esemplare. Solo la vanteria compulsiva del più bravo che sollecita l´applauso, o il ringhio pazzoide di chi va in tilt quando chiunque osi contraddirlo, non amarlo, non appartenergli. Un po´ per stanchezza, un po´ per noia, abbiamo imparato a simulare, in questi anni, indifferenza o silenzioso spregio di fronte all´offesa permanente che questo signore rappresenta non per la democrazia, che è troppa cosa da scomodare, ma per la decenza. Questa è una di quelle volte che l´aplomb va messo da parte: quella frase su brigatisti e magistrati fa schifo, e basta. 

 Michele Serra da La Repubblica del 11 maggio 2010

POSTED ON August 6  - POSTED IN L'Amaca
Se esistesse un Emilio Fede di sinistra, direbbe che Emilio Fede quello vero, con il suo pistolotto sprezzante su Roberto Saviano, ha espresso, su Saviano, un’ opinione molto simile a quella dei Casalesi. (Lo farebbe, però, storpiando il nome di Emilio Fede, perché storpiare apposta il nome di chi si odia è una delle forme retoriche preferite da Fede quello vero, che ai suoi nemici, e ai nemici del suo padrone, non riconosce neppure il diritto di avere un nome degno di essere detto). Fortunatamente un Fede di sinistra non esiste: è uno dei pochi privilegi che le rimangono, alla povera sinistra italiana. E dunque, conoscendo le profonde differenze di ruolo, di pensiero e di vita tra Fede e i Casalesi, ciò che va detto è altro, e forse, purtroppo, è ancora più grave. L’ idea che Saviano sia un vanitoso o un furbo che mette a frutto il suo successo editoriale giocando a fare l’ eroe è piuttosto diffusa negli strati meno pensosi e meno avveduti dell’ opinione pubblica. E’ un’ idea meschina e bugiarda (Saviano darebbe qualunque cosa, oggi, per riavere la vita decente che spetta a un ragazzo di trent’ anni, reo di scrittura e di niente altro, cittadino italiano e non suddito di una tirannia tribale africana), ma appartiene all’ indecente spirito servile di un Paese zeppo di morti alla ragione. Fede non ha fatto che raccoglierla da terra, e mostrarla alle telecamere.

LA REPUBBLICA del 8 aprile 2011

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Il cima è così mefitico che uno, pur di migliorarlo, sarebbe anche disposto ad ascoltare le ragioni altrui. Per esempio si legge sul giornale che un deputato della Lega, Buonanno, vorrebbe imporre una tassa dell´uno per cento sulle rimesse degli immigrati. «Si tratta di otto miliardi di euro all´anno – spiega Buonanno – che frutterebbero ottanta milioni da destinare al volontariato». L´obiezione sarebbe che se l´immigrato (e il suo datore di lavoro italiano) sono in regola, quei soldi sono già tassati. Ma la proposta, messa così (soldi al volontariato) potrebbe anche essere discussa. Solo che, due righe sotto, lo stesso Buonanno definisce gli immigrati «furbi che piangono miseria qui e poi magari si fanno la casa nel loro paese». E subito si chiude lo stretto varco dell´ascolto, perché anche la migliore proposta del mondo, se servita in una salsa così guasta, condita dalla solita dose di razzismo, ha un sapore ripugnante. Nessun dialogo, nessuna collaborazione è possibile con chi fonda la sua prassi sul disprezzo sociale e sul pregiudizio etnico. Imparino a parlare la lingua della civiltà e della res publica, questi signori, e vedranno che improvvisamente le loro parole assumeranno un altro peso politico. Sono sotto esame tanto quanto gli immigrati. Ci facciano capire se hanno capito che abbiamo regole, qui in Italia, che non consentono deroghe per nessuna tribù: neanche la loro. 
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