LA REPUBBLICA del 3 giugno 2011
Il goffo, spregevole trucco del governo per evitare il referendum sul nucleare, a rivederlo adesso dopo la sentenza della Cassazione, sembra esattamente quello che è: un goffo, spregevole trucco. Fino a pochi giorni fa eravamo rassegnati a considerare sortite del genere, malgrado la loro oggettiva miseria politica, come il colpo di mano di un abilissimo baro, che falsa le carte ma riscuote l´applauso di un pubblico stregato dalla sua faccia tosta. Ora che l´applauso sta mutando, inesorabilmente, in fischi e pernacchie, non basta godersi il pur legittimo sollievo. Dobbiamo chiederci su quali debolezze, quali credulità, quali complicità il baro ha potuto costruire, per vent´anni, un consenso così vasto e appassionato. L´Italia non può essere cambiata in pochi mesi, sia pure i primi mesi fatidici del 2011, anno del centocinquantenario e della impetuosa riscoperta di un´identità civile. Vent´anni di incantesimo non si cancellano così in fretta. Vorrei ricordare che il Parlamento di questo Paese, pochi mesi fa, ha votato in maggioranza, e scandalosamente, in favore di un bugia conclamata: che Berlusconi abbia telefonato alla questura di Milano per evitare un incidente diplomatico con Mubarak e la sua nipotina. Veniamo da troppe menzogne, da troppe vergogne, da troppo servilismo, da troppe prepotenze per poterci illudere che tutto sia finito così facilmente.
LA REPUBBLICA del 4 giugno 2011
l riformista Piero Borghini (che fu brevemente sindaco di Milano alla testa di una delle maggioranze più pasticciate, deboli e politicamente equivoche della storia cittadina) si dice contento della vittoria (riformista, naturalmente) di Pisapia. Ma ne approfitta per sbeffeggiare Vendola, "poetastro di Bari", forse senza rendersi conto che Pisapia ha iniziato la sua corsa proprio come candidato del poetastro. Che anche grazie al poetastro, e al lavoro politico dei suoi, sono tornati al voto moltitudini di elettori di sinistra che da tempo vedevano le urne come il fumo negli occhi. E – soprattutto – che il poetastro non suole riservare ai "riformisti" lo stesso ostracismo, molto ideologico, che non di rado arriva a bollarlo di "estremismo". Sarebbe davvero il colmo che in questa fase, così aperta e nuova, così insofferente delle etichette di partito, fossero proprio i cosiddetti riformisti a mettere i puntini sulle i (altrui), riaccendendo un dibattito logoro, e travolto dal voto, sulla "linea politica" più giusta. Colpisce che molti "estremisti" (Pisapia viene da Rifondazione) appaiano molto più pragmatici, ragionevoli, aperti ad alleanze anche inedite, capaci di coinvolgere elettori anche lontani tra loro, rispetto a quel "riformismo" che discetta sulle vittorie "troppo di sinistra".
LA REPUBBLICA del 21 giugno 2011
Luigi de Magistris, eletto sindaco di Napoli a furor di popolo, e con grave smacco dei vecchi potentati di destra e di sinistra, si è tolto subito il peso del primo errore e ha imparato, di conseguenza, la prima lezione: mai promettere soluzioni rapide e miracolose, perché le piaghe vecchie di molti anni non si rimarginano per acclamazione. La realtà è un osso duro, e si incarognisce soprattutto con chi si illude di ignorarla. Le cordigliere di monnezza che ancora circondano Napoli sono il portato di un tenace, stratificato mix di errori politici, truffe e speculazioni, deficit di cultura civica. Meglio sarebbe stato (anche per distinguersi dal vecchio andazzo) dire «ce la metteremo tutta, ma non sono in grado di promettervi un D-day miracoloso, siamo nella merda fino al collo e per liberarcene davvero ci vorrà il lavoro di anni, forse di generazioni». Perché de Magistris non lo ha fatto? Forse per il comprensibile entusiasmo del neofita, forse perché il meccanismo pavloviano frase virtuosa-ovazione della folla, che in campagna elettorale ha il suo peso, è un meccanismo difficile da disinnescare. Il giovane sindaco ha più di mezza Napoli (e di mezza Italia) dalla sua parte. Lavori molto, non prometta nulla e forse riuscirà a farcela.
LA REPUBBLICA del 31 maggio 2011
Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell´edonismo finto-allegro, dell´ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction. Quello che verrà dopo, non lo sappiamo. Ma sappiamo, finalmente, che un dopo esiste, e questo bastava, a Milano e altrove, per abbracciarsi con gli occhi pieni di benedette lacrime. Voglio dedicare questo giorno di felicità e di liberazione ai due o trecento ragazzini salariati che ho incontrato in piazza del Duomo al comizio di chiusura della Moratti: facevano pensare a una vecchia canzone di Gaber: "Non sanno se ridere o piangere, batton le mani". Il set che, di qui in poi, verrà inesorabilmente smontato era anche il loro set. Vorrei tanto che anche per loro cambiasse qualcosa. Io vengo da una famiglia di destra, e non era una destra così triste. Era una destra onesta, silenziosa, sobria, borghese. È stato un bel luogo dove crescere, e un bel luogo dal quale fuggire verso la mia vita. Quello che Berlusconi ha fatto alla destra italiana è spaventoso. Non gli potrà mai essere perdonato.
LA REPUBBLICA del 5 giugno 2011
Il ruolo di Internet, per la formazione e l´orientamento del voto giovanile, è stato determinante. Lo aveva previsto tra i primi, parecchi anni fa, Beppe Grillo, che sul web ha poi organizzato il suo movimento politico, raccolto consensi, diffuso informazioni introvabili sui giornali, applicato una sorta di "democrazia diretta", post-partitica, bollata di "anti-politica" pur essendo attivamente politica, anche se fuori dalle griglie ideologiche note. Poi, però, è accaduto che una parte cospicua del popolo di Internet, applicando alla lettera le promesse-premesse di autonomia anti-gerarchica insite nella rete, non abbia dato retta al suo leader più popolare, che sosteneva non esservi differenze rilevanti tra destra e sinistra, e abbia votato massicciamente a sinistra. Non so che cosa pensino, questi elettori, quando Grillo chiama Pisapia "Pisapippa", dimostrando l´impressionante rifiuto di fare i conti con la realtà delle cose, con i mutamenti sociali e culturali, perfino con i numeri. Ma una cosa è certa: decine di migliaia di "grillini", a Milano e altrove, hanno potuto e voluto contare qualcosa solo come parte di una coalizione. Perché anche attraverso Internet, il contatto con altre realtà, lo scambio di idee, il dibattito, hanno deciso che tra sinistra e destra qualche differenza sostanziale c´è. Aveva ragione Grillo: il web è potentissimo. Tanto potente da dargli torto.
LA REPUBBLICA del 4 maggio 2011
Per un miscredente come me, desta una certa impressione accorgersi che nei commenti a caldo sull´esecuzione del genocida Bin Laden la sola voce che senza esitazione ha ammonito a "non esultare" di fronte alla morte di un uomo è stata quella della Chiesa romana. Non sono tra quelli che hanno esultato. Per non farlo, non avevo necessità di altra autorità se non quella del mio giudizio e – non so dirlo altrimenti – del mio imbarazzo. Eppure nei commenti ufficiali, anche quelli dei politici per i quali voto, non ho trovato uguale immediatezza, e forza, nel ricordare che ogni morte, anche quella di Caino, suggerisce di chinare il capo e fare silenzio. Non credo affatto che per vivere umanamente e per provare compassione sia indispensabile essere credenti. Proprio per questo, mi fa specie constatare che la Chiesa abbia così facilmente (e meritatamente) esercitato una sorta di monopolio della pietà e della compostezza. Voci laiche di uguale autorevolezza si sono udite, ma erano sperse e individuali. Né l´umanitarismo socialista né la compostezza borghese possiedono più un pulpito e un´organizzazione culturale e politica tali da essere in grado, in circostanze così decisive, di orientare gli animi, e dare sostanza collettiva ai sentimenti individuali. La voce della Chiesa non è la mia, ma l´ho udita, nelle ore della fine di Osama, con rispetto e gratitudine.
LA REPUBBLICA del 28 aprile 2011
«Credo che 31 anni di carcere siano sufficienti anche per chi è condannato all´ergastolo», dice Sabina Rossa in merito alla libertà condizionata dell´assassino di suo padre Guido, sindacalista comunista ucciso dalle Brigate Rosse perché "spia berlingueriana", uno dei tanti italiani di sinistra caduti negli anni di piombo. Sabina si è adoperata con discrezione, con altri quattro parenti di altre vittime del terrorismo, perché l´uomo che ha ucciso suo padre non trovasse ostacoli alla fine della sua lunga detenzione. Alle tante facili ciance sul "perdono", categoria emotiva che calza alla perfezione alla banalità mediatica, ecco sostituirsi, finalmente, un giudizio civile, razionale e umano, sulle leggi della Repubblica, la giustezza del castigo, la sua durata legittima, l´inutilità dell´accanimento che la vox populi così spesso invoca quando urla sguaiatamente che "bisogna buttare via le chiavi". Di Sabina Rossa, come cittadino italiano, io sono orgoglioso. Lo sarebbe anche suo padre Guido. Spero lo sia, o lo diventi, anche l´uomo che, con altri, tanti anni fa, uccise Guido, e nella misura umana di quella figlia, se ha voglia di farlo, può trovare le tracce della misura umana di quel padre, che credeva nella Repubblica e nelle sue leggi. Tra le quali la pena di morte non c´è.
LA REPUBBLICA del 20 maggio 2011
Vincano o perdano i ballottaggi, un sospetto di diffusa mediocrità (detto in parole pompose: deficit di classe dirigente) comincia ad aleggiare attorno alla destra di governo. Il capo tace, come l´attore che sa di avere consumato il repertorio e scopre che anche il pubblico se ne è accorto. Il vice-capo, quel Bossi che gode fama di essere un politico sottile, dice una cosa al mattino e l´esatto contrario alla sera, con siparietti anche esilaranti, tipo l´invito a moderare i toni seguito dalla frase «Pisapia è un matto che vuole consegnare Milano agli zingari». (Come fa, del resto, a moderare i toni uno che ha costruito la sua fortuna minacciando il ricorso agli schioppi e mostrando il dito medio?). Il povero Alfano, con lo sguardo stralunato, appare in un tigì e attribuisce i rovesci parlamentari a un «normale rilassamento post-elettorale», come se per premere il pulsante a Montecitorio fossero necessari quindici giorni di rieducazione psico-motoria in clinica. Non ci si sperava più, ma forse il tempo è davvero galantuomo. Una politica fondata sulla paura (dei comunisti, degli zingari, degli arabi, dei gay, delle tasse, del futuro) può fare faville per un po´ di anni, ma ha un limite strutturale. È monocorde, ripetitiva, pesante da reggere perfino per chi se ne giova. Alla scuola della paura non si formano alunni brillanti.
LA REPUBBLICA del 1 maggio 2011
Si sa che la politica, negli ultimi anni, non è molto rigorosa nella selezione del personale. Ma uno scambio di battute in pubblico come quello tra Bossi e Letizia Moratti, riportato ieri dai giornali, merita un richiamo per scarso rendimento perfino nel rudimentale mondo della politica nazionale. "Letizia, con il federalismo adesso hai i soldi per fare le cose, guarda che noi ti controlliamo…". "Guarda che se fai così scappo!" (risate degli astanti). "Pensavi di andare al mare nei posti dei ricchi, ma questa volta ti tocca lavorare!" (risate). "Umberto, dobbiamo portare il centro di produzione Rai a Milano! Con il tuo aiuto ci riusciremo!" (cori di Roma ladrona). "Adesso che hai i soldi se hai le idee puoi realizzarle, così la prossima volta che vengo a Milano non prendo tutte quelle buche, pum pum pum" (risate). "Con il federalismo le asfalteremo tutte!" (applausi scroscianti, tripudio della folla). Per scendere di un ulteriore gradino sotto questo ground zero concettuale e lessicale, potevano usare i verbi all´infinito, come gli indiani nei western degli anni Cinquanta: "Io essere amico! Io volere tu sindaco di Milano!" "E io riempire buche, così tua macchina non fare più pum pum pum!" Gli astanti si sarebbero ugualmente spellati le mani.
LA REPUBBLICA del 26 aprile 2011
A nome dell´associazione Qualcuno Fermi la Cronaca Nera, della quale sono presidente e unico iscritto, mi dichiaro entusiasta dell´esilarante incidente nel quale è incorso il Tg5, mandando in onda in pompa magna la perizia grafologica di una falsa cartolina scritta dal computer di Chi l´ha visto? e attribuita al celebre "papà delle gemelline" (nome d´arte). Siamo alla messa in scena (intervento della grafologa) su una messa in scena (falsa cartolina) di una messa in scena (la cartolina vera spedita dal probabile assassino a infanticidio avvenuto). Solo quest´ultima, che fortunatamente è nelle mani degli inquirenti e non di una redazione televisiva, appartiene all´inevitabile tragedia della realtà. Le altre due, ma soprattutto la sedicente "perizia" effettuata su una grafia che anche un bambino sa attribuire a prima vista al computer, fanno parte di quel fiorente indotto del dolore che è la "nera" televisiva, dilagante su ogni rete, padrona assoluta di molti tigì (i tre di Mediaset grondano sangue quasi da ogni titolo), presenza costante e ossessiva dei palinsesti pomeridiani. Già detto cento volte che quando "nera" e "rosa" dilagano, lo fanno a scapito di quella ragionevole indagine della realtà (e dunque della normalità) che ci aspettiamo dai media. Al nostro boicottaggio volontario (cambiare subito canale), si aggiunge il boicottaggio involontario del Tg5: è un´ottima notizia, e non di nera.