LA REPUBBLICA del 5 gennaio 2012
I controlli fiscali a Cortina, a ridosso di Capodanno, saranno anche ispirati da "una concezione ideologica del controllo fiscale", come dichiara il socialista (risate!) Cicchitto. Ma si dà il fatto che gli eventuali pregiudizi "ideologici" sono stati clamorosamente confermati dai risultati. Centinaia di auto di lusso erano intestate a persone che dichiarano 30 mila euro all´anno. A Cicchitto basterebbe fare due conticini elementari per capire che qualcosa non quadra. E che, con ogni evidenza, se la Guardia di Finanza ha gettato le reti proprio a Cortina, e non a Igea Marina, è perché ogni lavoro ben fatto punta a ottimizzare i risultati. Nei paesi civili, dove per evasione fiscale si finisce in prigione, a nessuno viene in mente di strillare contro il Fisco ideologico e lo Stato di polizia. Quanto all´ideologia, se in questo Paese esiste una politica punitiva contro chi produce reddito e contro i benestanti, questa politica vede come protagonisti incontrastati gli evasori fiscali. Posso certificarlo proprio in quanto benestante: mi vedo circondato da persone che pur dichiarando un reddito dieci volte inferiore al mio, hanno un tenore di vita dieci volte superiore. Li considero nemici dello Stato e miei personali.
LA REPUBBLICA del 26 gennaio 2012
Nel nostro paese il novanta per cento delle merci viaggia in camion. Al di là di ogni questione ecologica (l´impatto ambientale è disastroso), colpisce la quasi totale dipendenza dei nostri consumi dagli autotrasporti. E il conseguente, smisurato potere (anche di ricatto) che la categoria può vantare nei confronti della società intera. Se i consumi a chilometri zero e la filiera corta vi sembrano solo ridicole utopie, o snobberie da nostalgici, ecco un´ottima occasione per rifletterci sopra, come si dice, laicamente. Il mercato, da sé, non è in grado di distinguere (ne è interessato a farlo) tra consumi virtuosi e consumi viziosi. Ma noi, magari, potremmo almeno provarci. Le arance siciliane a Milano sono una logica conquista (a Milano non crescono arance), ma bere a Roma acqua minerale delle Alpi, o mangiare in Piemonte peperoni olandesi, è una fesseria indotta da interessi del tutto estranei a quelli di chi li compera e li mangia. Comperare un cibo o una merce significa anche pagargli il biglietto del viaggio, ma quasi nessuno ci pensa. Il linguaggio dei consumi è complicato, o cominciamo a impadronircene, e a governarlo, o restiamo analfabeti, e come tali manipolabili, e sottomessi, e in balia di meccanismi destinati a sovrastarci in eterno.
LA REPUBBLICA del 6 gennaio 2012
Calderoli che critica Mario Monti per la sua condotta a Palazzo Chigi riporta implacabilmente al vecchio detto "raglio d´asino non sale al cielo". Palazzo Chigi, oltre che sede della presidenza del Consiglio, è residenza privata del capo del governo in carica. Che quest´ultimo ci dorma, ci faccia la doccia e ci mangi, anche ospitando (per giunta a spese proprie) chi gli aggrada, è dunque la più lecita delle cose. Formidabile, poi, è che Calderoli e i suoi osino accusare Monti di uso privato della cosa pubblica essendo loro per primi ampiamente colpevoli proprio di quel misfatto. A spese dei contribuenti hanno fatto aprire a Monza un ridicolo pseudo-distaccamento ministeriale usandolo, in sostanza, come una sede di partito: se ne è occupata anche la magistratura. La mancanza di stile (istituzionale e personale) dei capoccia leghisti è così conclamata che promette di finire sulle antologie. Scelgano altri terreni, dunque, sui quali attaccare Monti, che per il generale sollievo degli italiani (anche di chi ne osteggia le scelte politiche) è un signore, e succede a un governo ampiamente popolato da cafoni e vice-cafoni. Di quel governo Berlusconi era l´anima, la Lega il dito medio.
LA REPUBBLICA del 29 novembre 2011
Sapere chi abbia ragione e chi torto, tra il sindaco Pisapia e il suo ex assessore Stefano Boeri, è importante ma non decisivo. Decisivo è capire che i soli veri sconfitti sono gli elettori milanesi che pochi mesi fa, per mandare Pisapia a Palazzo Marino con una maggioranza schiacciante, avevano messo da parte differenze e diffidenze ben più cospicue di quelle che oggi lacerano il governo di Milano. A festeggiare in piazza del Duomo c´erano la borghesia che vota al centro e i ragazzi dei centri sociali, i vecchi militanti dei partiti di sinistra e la nuova leva di cani sciolti internettari, i referendari senza tessera che si mobilitano di volta in volta e i funzionari di partito che sono mobilitati per mestiere. Pur di costituirsi in una nuova maggioranza, ognuno di questi elettori aveva rinunciato a qualcosa e aveva accettato di fidarsi degli altri. Ovvio che, dentro il potere, le ragioni di discussione e di lite sono molto solide e molto ingombranti. Ma come è possibile che lo spirito di quei giorni, che concedeva così poco al puntiglio individuale e alla vanità personale, faccia già parte del passato?
LA REPUBBLICA del 4 novembre 2011
L´incendio "purificatore" del glorioso giornale satirico parigino Charlie Hebdo da parte di fanatici islamisti costringe a rifare i conti (non fatti) con la mano omicida dell´integralismo musulmano. La stessa che ha ucciso il regista Theo Van Gogh, condannato a morte Salman Rushdie, accoltellato il suo traduttore italiano, assassinato il suo traduttore giapponese. Gli italiani a Parigi sono di casa, ma di quelle fiamme, qui da noi, è arrivato appena un remoto riverbero. Mentre Le Monde dedicava al rogo di Charlie un severo editoriale di prima pagina, i commenti italiani sono stati in genere blandi, prudenti e molto confusi. Molti imputano al giornale francese la "colpa" di avere "scherzato con la religione". Altri definiscono assurdamente "una provocazione" la scelta di una tivù tunisina (anche lei assaltata dagli islamisti) di mandare in onda un capolavoro della tolleranza laica come il film d´animazione Persepolis. Se siamo così incerti e così impreparati quando si tratta di difendere la libertà di espressione e la tolleranza, non ci dobbiamo meravigliare, poi, se hanno campo libero, e un successo travolgente, le reazioni intolleranti e razziste, alla Oriana Fallaci. È sempre la viltà dei pacifici che dà spazio (immeritato) ai fanatici.
LA REPUBBLICA del 30 novembre 2011
Una comunità civile – strenuamente civile – come quella norvegese maneggia con comprensibile fatica lo stragista Breivik, le sue idee primitive, il suo crimine bestiale. Le leggi impediscono la vendetta, che è barbarica (e dunque familiare a Breivik, non ai suoi giudici) e addirittura costringono quel tribunale a porsi, su un uomo che ha macellato decine di ragazzi come agnelli, la fatidica domanda se sia solo un criminale o soprattutto un pazzo, dunque da curare (la diagnosi dei periti è "schizofrenia paranoica") più che da punire. La domanda, in realtà, andrebbe estesa a molti criminali di guerra, nonché a tutti o quasi i crimini innescati dall´odio razziale o religioso, tanto "folle" appare, alla nostra ragione nonché alla nostra pietà, la decisione di sopprimere qualcuno perché considerato inferiore, infetto, alieno e pericoloso. Molte idee sono malate, schizofreniche e paranoiche fino dalla loro formulazione. Il razzismo lo è certamente, benché abbia disperatamente tentato, per secoli, di darsi una struttura culturale e "scientifica". Far capire ai razzisti che sono malati non risolve certo il nostro problema (che è metterli nelle condizioni di non nuocere). Ma forse, può aiutarli a risolvere il loro.
LA REPUBBLICA del 5 novembre 2011
«Dicono tutti che c´è la crisi ma i ristoranti sono pieni» è un classico dell´uomo della strada. Lo dice il tassista, lo dice l´avventore del bar, probabile che lo abbia detto ciascuno di noi in uno di quei momenti di spensierata dabbenaggine che costellano la vita di ogni persona qualunque. Sentire per la prima volta pronunciare quella frase al G20, da un capo di governo, è una svolta storica: vuol dire che l´uomo della strada, con tutta la sua spensierata dabbenaggine, è arrivato al vertice. Ci ritroviamo dunque a essere governati da uno qualunque, che quando pensa una fesseria qualunque la dice a tutti. Probabile che alcuni italiani ne siano soddisfatti: "che bello, finalmente un pirla come me è al potere, questa sì che è democrazia". Ma è probabile, anche, che altri italiani, tra i quali mi annovero, ne siano invece desolati. Forse suggestionati da vecchie letture scolastiche (Pericle, per esempio) pensavano che la democrazia fosse una selezione dei migliori. Aperta a tutti, ma destinata a individuare i migliori. Il vecchio concetto di classe dirigente, insomma. Ritrovarsi rappresentati nel mondo da uno che pensa e parla come l´ultimo di noi è un bruciante fallimento. Votare per uno "come noi" significa sprecare il voto e sprecare la democrazia. Vogliamo votare per uno che sia migliore di noi. Per questo – soprattutto – non abbiamo mai votato Berlusconi.
LA REPUBBLICA del 11 dicembre 2011
La notizia della probabile sostituzione di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1 è accompagnata da decine, centinaia, migliaia, forse milioni di dichiarazioni di esponenti politici. In questa grandinata di parole, vi sfido a trovarne una, dico una, che si astenga dal giudizio e attribuisca alla Rai, e solo alla Rai, la facoltà di decidere che cosa fare del suo telegiornale più importante. Di viale Mazzini i politici parlano stabilmente come di una loro succursale, quasi un terzo ramo del Parlamento. Lo fanno con naturalezza assoluta, come se neanche li sfiorasse il sospetto che la Rai, pure se gravata di una speciale responsabilità pubblica, è un´azienda editoriale, e da molti anni, nelle sue persone migliori, chiede disperatamente ai partiti di fare il famoso passo indietro, mollare la morsa metà clientelare metà censoria che ammorba quelle stanze e rende faticoso ogni passo, ogni gesto di chi là dentro lavora, o almeno prova a farlo. Nella rimozione di un direttore di telegiornale non c´è niente di rivoluzionario: è facoltà di ogni azienda rimuovere i dirigenti incapaci. Rivoluzionario sarebbe che i politici che bivaccano dentro e attorno alla Rai non avessero niente da dichiarare, perché non è affar loro.
LA REPUBBLICA del 1° dicembre 2011
Le polemiche sui "tempi lenti" del governo Monti fanno abbastanza ridere se rapportate alla sensazione di consolidata immobilità che, per anni, lo ha preceduto. Non è che veniamo da un fox trot. Veniamo da un fermo immagine durato quasi vent´anni, quello che va dal Berlusconi del ´94 che scende in campo contro i comunisti al Berlusconi di tre giorni fa che scende in campo contro i comunisti. Veniamo da una palude fatta di irresolutezza, molte decisioni evitate, pochissime decisioni prese ma clamorosamente sbagliate (l´abolizione dell´Ici), e una nebbia luminescente che avvolgeva tutto e tutti e occultava la realtà della vita, del lavoro, del concreto farsi e disfarsi della nostra società. A pensarci meglio, le critiche sulla lentezza del nuovo governo, a dispetto delle intenzioni di chi le muove, sono la prova provata che abbiamo davvero e finalmente voltato pagina. Si è rimesso in moto l´orologio della realtà, e nella realtà una settimana è lunga, un mese è lunghissimo, un anno è l´eternità. Chiedere a Monti di fare in fretta equivale a dire che ci siamo svegliati da un lungo coma, e il tempo vale, il tempo pesa, il tempo è di nuovo il nostro.
LA REPUBBLICA del 9 novembre 2011
Nelle lunghe dirette televisive di ieri, impressionava lo scarto pauroso tra le brevi e secche voci d´allarme che arrivavano dall´Europa a proposito del nostro debito pubblico, e l´andazzo tutto sommato attendista e prudente della politica romana. Buttiglione che spiegava le "larghe convergenze", Lupi che abbozzava un percorso politico così fumoso e incomprensibile che il microfono pareva ossidarsi, il via vai di telecamere, giornalisti, politici che sembrava formare nelle vie attorno ai Palazzi delle istituzioni, complice la pioggia, un lento gorgo limaccioso. L´ansia del telespettatore, vedendo scorrere sul video i sottotitoli con le gravi considerazioni dei cugini europei, faceva a pugni con la flemma della grande maggioranza degli onorevoli intervistati. Sapendo che oggi arrivano nella capitale i commissari europei, c´è da chiedersi se riusciranno a mettere in circolo un po´ di adrenalina, aiutando ad abbreviare i tempi mostruosamente lunghi di questa agonia politica (solo l´agonia di Hiro Hito fu più lunga di quella di Berlusconi) ; oppure se anche loro, come i cardinali di Nanni Moretti, dopo una mezza giornata a Roma avranno per unico scopo, specie se spunta il sole, di andare a bere il cappuccino a Borgo Pio.