LA REPUBBLICA del 3 giugno 2011
Il goffo, spregevole trucco del governo per evitare il referendum sul nucleare, a rivederlo adesso dopo la sentenza della Cassazione, sembra esattamente quello che è: un goffo, spregevole trucco. Fino a pochi giorni fa eravamo rassegnati a considerare sortite del genere, malgrado la loro oggettiva miseria politica, come il colpo di mano di un abilissimo baro, che falsa le carte ma riscuote l´applauso di un pubblico stregato dalla sua faccia tosta. Ora che l´applauso sta mutando, inesorabilmente, in fischi e pernacchie, non basta godersi il pur legittimo sollievo. Dobbiamo chiederci su quali debolezze, quali credulità, quali complicità il baro ha potuto costruire, per vent´anni, un consenso così vasto e appassionato. L´Italia non può essere cambiata in pochi mesi, sia pure i primi mesi fatidici del 2011, anno del centocinquantenario e della impetuosa riscoperta di un´identità civile. Vent´anni di incantesimo non si cancellano così in fretta. Vorrei ricordare che il Parlamento di questo Paese, pochi mesi fa, ha votato in maggioranza, e scandalosamente, in favore di un bugia conclamata: che Berlusconi abbia telefonato alla questura di Milano per evitare un incidente diplomatico con Mubarak e la sua nipotina. Veniamo da troppe menzogne, da troppe vergogne, da troppo servilismo, da troppe prepotenze per poterci illudere che tutto sia finito così facilmente.
LA REPUBBLICA del 17 maggio 2011
Nella città italiana che, insieme a Roma, ha pagato il prezzo più alto all´odio politico degli anni Settanta, il tentativo di riesumarlo si è ritorto contro i suoi tardivi artefici. La carta di "Pisapia amico dei terroristi", sventolata dai due più importanti giornali di destra italiani (entrambi milanesi), ha contato come il due di picche. La "moderata" Moratti, che l´ha goffamente impugnata per esorcizzare il suo rivale, sa chi deve ringraziare per il suo tonfo. Di qui al ballottaggio, è lecito attendersi ogni bassezza. Si moltiplicheranno gli attacchi personali a Pisapia, alla sua storia politica, ai suoi familiari. È stata esemplare, fin qui, la sua saldezza di nervi, nonché una signorilità che, lei sì, ha certamente contribuito ad accreditare di un profilo davvero "moderato" un candidato che veniva da Rifondazione. Sarà certamente felice anche Massimo D´Alema, che ha sempre sostenuto che non basta vincere le primarie, conta vincere le secondarie. A Pisapia le primarie sono servite per "scaldare" il suo elettorato e compattarlo (anche grazie alla lealtà del rivale sconfitto, Stefano Boeri). Non così è andata a Napoli, dove il Pd paga il prezzo di primarie obbrobriose, finte e manipolate, e giustamente arranca. Aiuta e conforta riscoprire che in politica ciascuno è responsabile del proprio destino. E che nella vittoria e nella sconfitta pesa, e molto, ciò che si dice, ciò che si fa, ciò che si è.
LA REPUBBLICA del 4 giugno 2011
l riformista Piero Borghini (che fu brevemente sindaco di Milano alla testa di una delle maggioranze più pasticciate, deboli e politicamente equivoche della storia cittadina) si dice contento della vittoria (riformista, naturalmente) di Pisapia. Ma ne approfitta per sbeffeggiare Vendola, "poetastro di Bari", forse senza rendersi conto che Pisapia ha iniziato la sua corsa proprio come candidato del poetastro. Che anche grazie al poetastro, e al lavoro politico dei suoi, sono tornati al voto moltitudini di elettori di sinistra che da tempo vedevano le urne come il fumo negli occhi. E – soprattutto – che il poetastro non suole riservare ai "riformisti" lo stesso ostracismo, molto ideologico, che non di rado arriva a bollarlo di "estremismo". Sarebbe davvero il colmo che in questa fase, così aperta e nuova, così insofferente delle etichette di partito, fossero proprio i cosiddetti riformisti a mettere i puntini sulle i (altrui), riaccendendo un dibattito logoro, e travolto dal voto, sulla "linea politica" più giusta. Colpisce che molti "estremisti" (Pisapia viene da Rifondazione) appaiano molto più pragmatici, ragionevoli, aperti ad alleanze anche inedite, capaci di coinvolgere elettori anche lontani tra loro, rispetto a quel "riformismo" che discetta sulle vittorie "troppo di sinistra".
LA REPUBBLICA del 18 maggio 2011
«Guardi che il popolo ce l´abbiamo anche noi», disse tempo fa Bersani in tivù replicando al solito tribuno di destra che parlava «in nome del popolo». Chissà se, dopo queste elezioni benedette, la sinistra si ricorderà di avercela davvero, una gran fetta di popolo, tanto per chiarire come stanno le cose, carte alla mano.
L´unica zona di Milano nella quale Moratti ha superato Pisapia è quel centro storico che la destra populista dipinge come il covo della "gauche caviar", l´odiata schiera dei ricchi di sinistra. Le cifre dicono che lì, tra i bei palazzi e gli struggenti giardini interni dove abita la Milano abbiente, la destra ha sempre vinto, e ancora vince. Scriveva Fortebraccio, manicheo ma dallo sguardo acuto, che si votava, in quelle case onorate, soprattutto per difendere l´argenteria. Il mito della "borghesia rossa" e delle contesse annoiate che trescavano con i rivoluzionari barbuti è sempre servito alla destra più becera (dai tempi della Notte di Nino Nutrizio) per accreditare il nemico politico di ipocrisia e incoerenza. Ma chi avesse la pazienza di rileggersi gli spogli elettorali degli ultimi cinquemila anni, non trova tracce rilevanti di questo mito. I borghesi di sinistra sono sempre stati una minoranza. Colta e combattiva, ma minoranza. E nelle strette strade dai portoni antichi, e dai negozi civettuoli, i padronal-chic presidiano il quartiere con immutata, eterna diffidenza per i "rossi".
LA REPUBBLICA del 5 giugno 2011
Il ruolo di Internet, per la formazione e l´orientamento del voto giovanile, è stato determinante. Lo aveva previsto tra i primi, parecchi anni fa, Beppe Grillo, che sul web ha poi organizzato il suo movimento politico, raccolto consensi, diffuso informazioni introvabili sui giornali, applicato una sorta di "democrazia diretta", post-partitica, bollata di "anti-politica" pur essendo attivamente politica, anche se fuori dalle griglie ideologiche note. Poi, però, è accaduto che una parte cospicua del popolo di Internet, applicando alla lettera le promesse-premesse di autonomia anti-gerarchica insite nella rete, non abbia dato retta al suo leader più popolare, che sosteneva non esservi differenze rilevanti tra destra e sinistra, e abbia votato massicciamente a sinistra. Non so che cosa pensino, questi elettori, quando Grillo chiama Pisapia "Pisapippa", dimostrando l´impressionante rifiuto di fare i conti con la realtà delle cose, con i mutamenti sociali e culturali, perfino con i numeri. Ma una cosa è certa: decine di migliaia di "grillini", a Milano e altrove, hanno potuto e voluto contare qualcosa solo come parte di una coalizione. Perché anche attraverso Internet, il contatto con altre realtà, lo scambio di idee, il dibattito, hanno deciso che tra sinistra e destra qualche differenza sostanziale c´è. Aveva ragione Grillo: il web è potentissimo. Tanto potente da dargli torto.
LA REPUBBLICA del 19 maggio 2011
Uno dei problemi (atavici) della sinistra è l´eccesso di intelligenza, frutto di un sovraffollamento di intelligenti non sempre in buona armonia tra loro. Ne è esempio preclaro Massimo Cacciari, che trenta secondi dopo la vittoria di Pisapia scuoteva il capo dicendo che se il candidato fosse stato Gabriele Albertini, la sinistra avrebbe vinto al primo turno. Il fatto che Gabriele Albertini sia un ex sindaco di centrodestra dev´essere, evidentemente, un trascurabile dettaglio, buono a scoraggiare le anime semplici come me, non un grande intellettuale come Cacciari. Personalmente avrei puntato su Lady Gaga (con Albertini vicesindaco, naturalmente), ma non ho osato dirlo perché, avendo Pisapia appena ottenuto il miglior risultato della sinistra milanese negli ultimi vent´anni, meritava – mi sembra – un ammirato applauso o, perlomeno, un rispettoso silenzio. Del resto, anche i fatti hanno il loro peso. A Milano e a Cagliari (della quale si parla pochissimo, e a torto) il tentativo di restituire alla sinistra i voti di sinistra (gli astenuti e i delusi, negli ultimi anni, sono una marea) e di riconquistare un minimo di appeal tra gli elettori più giovani, ha dato ottimi frutti. Non è colpa di nessuno se questo successo è stato ottenuto candidando (con le primarie) due di sinistra. Con Albertini, anche per fare piacere a Cacciari, ci si metterà d´accordo in un secondo tempo.
LA REPUBBLICA del 6 maggio 2011
E così i famosi Responsabili hanno riscosso quanto dovuto (anzi, solo la prima tranche. La seconda è in arrivo). Pur sapendo bene che la politica non è un luogo che zampilla etica e sprizza probità, lascia di stucco la soave naturalezza con la quale tutto è accaduto. I nuovi sottosegretari parlano della loro nomina come di un prezzo dovuto, come il professionista che mostra sereno la sua parcella. Chi di loro si lasciò sfuggire, solo pochi mesi fa, frasi sprezzanti contro il premier, e giuramenti solenni sul proprio disinteresse (molti giornali e siti ne fanno un´impressionante florilegio, segnalo tra tutti il blog il Nichilista di Fabio Chiusi), oggi allarga le braccia come per dire "è la politica, ragazzi", e si rimangia ogni promessa e contropromessa: tutto è azzerato dal legittimo contratto di assunzione a sottosegretario, stipendio a cura di noi tutti. Non c´è dietrologia, non trama oscura, non recondite manovre. Tutto è alla luce del sole, tutto affiorato, e galleggia sotto il sole di maggio e sotto i nostri occhi sempre più assuefatti. Cerchiamo di ricordarci quando (mesi fa? anni fa? decenni fa?) un simile mercato avrebbe fatto avvampare il dibattito pubblico, arroventato tutte le prime pagine, e suggerito ai suoi protagonisti di nascondersi, per le trattative, dietro una tenda o una colonna. Ma non ce lo ricordiamo più. Già: che anno era, quando potevamo ancora dire e scrivere "che vergogna" senza essere sicuri di sprecare il fiato?
LA REPUBBLICA del 20 maggio 2011
Vincano o perdano i ballottaggi, un sospetto di diffusa mediocrità (detto in parole pompose: deficit di classe dirigente) comincia ad aleggiare attorno alla destra di governo. Il capo tace, come l´attore che sa di avere consumato il repertorio e scopre che anche il pubblico se ne è accorto. Il vice-capo, quel Bossi che gode fama di essere un politico sottile, dice una cosa al mattino e l´esatto contrario alla sera, con siparietti anche esilaranti, tipo l´invito a moderare i toni seguito dalla frase «Pisapia è un matto che vuole consegnare Milano agli zingari». (Come fa, del resto, a moderare i toni uno che ha costruito la sua fortuna minacciando il ricorso agli schioppi e mostrando il dito medio?). Il povero Alfano, con lo sguardo stralunato, appare in un tigì e attribuisce i rovesci parlamentari a un «normale rilassamento post-elettorale», come se per premere il pulsante a Montecitorio fossero necessari quindici giorni di rieducazione psico-motoria in clinica. Non ci si sperava più, ma forse il tempo è davvero galantuomo. Una politica fondata sulla paura (dei comunisti, degli zingari, degli arabi, dei gay, delle tasse, del futuro) può fare faville per un po´ di anni, ma ha un limite strutturale. È monocorde, ripetitiva, pesante da reggere perfino per chi se ne giova. Alla scuola della paura non si formano alunni brillanti.
LA REPUBBLICA del 8 giugno 2011
La piazzata delle cameriere d´albergo (in alta uniforme) contro Strauss-Kahn non è certo un esempio edificante: non sono le urla di strada, è la legge a dover giudicare. Eppure, l´umiltà sociale delle manifestanti (in larga parte afroamericane), di contro all´altissimo rango di un imputato che attende la sentenza in una dimora stellare, ci dice qualcosa che va ben oltre le intemperanze forcaiole. Ci dice che il nervo della diseguaglianza (qui doppia: il ricco e le povere, il maschio di potere e le femmine senza status) è scoperto, e duole forse più di sempre. La lunga rimozione degli ultimi anni non riesce più a occultare una divaricazione di censo, e di potere, che confligge non solamente con la perduta speranza socialista, ma anche con le promesse abortite del libero mercato. Per giunta, la malevola regia del Caso ha voluto che il ricchissimo accusato sia leader di una delle sinistre più forti e nobili del mondo, quella francese. Quasi a dirci che la confusione, sotto il cielo, dev´essere grandissima se un leader della gauche planetaria, ostentatamente facoltoso, si ritrova a essere detestato come simbolo dell´arroganza del denaro. Forse gli arresti domiciliari in un bilocale con vista sui bidoni della spazzatura non sarebbero bastati a rimettere le cose a posto. Di certo, la magione da 50mila dollari al mese le ha messe ancora più in disordine.
LA REPUBBLICA del 25 maggio 2011
Il clamore mediatico attorno a spintoni e urlacci fa torto alla vera novità di rilievo di questa campagna elettorale, che è l´imponente ondata satirica (in specie, parodistica) che si abbatte sui siti e i blog. Un´anti-propaganda di massa, fatta di migliaia di messaggi spesso molto spiritosi che buttano in ridicolo la politica della paura, boicottando quella fabbrica delle fobie che, nella destra di potere, è perfino più attiva e venefica della fabbrica del fango. Una risata non ha mai seppellito nessuno, ma è piacevole scoprire che all´invettiva, che in rete abbonda, molte persone preferiscono la presa per i fondelli, che ha il vantaggio di spiazzare e di far riflettere. Spiace che la destra, con pochissime eccezioni, non disponga di una efficace contraerea, rispondendo battuta su battuta, pur disponendo di un bersaglio (la sinistra) decisamente invitante. Ma è un vecchio problema, questo, che oggi ripropone a livello "di base" analoghe polemiche già udite a livello di "vertice". Solo che qui è un po´ difficile prendersela con varie ed eventuali caste televisive e teatrali di comici "comunisti", perché non risulta che gli internauti siano raccomandati o promossi da alcuno, o tutelati dalla famosa egemonia radical chic. Nessuno impedisce a eventuali incursori leghisti o pidiellini di fare il verso al Pisapia ciclista o alle sciure milanesi tutte Prada e goscismo. Se invece delle battute spiritose esce solo un livore greve, forse vuol dire che la risata, a destra, è un´arma poco conosciuta.