LA REPUBBLICA del 14 aprile 2011
Di fronte agli immigrati, avanguardia di un futuro sconosciuto e difficile, i leghisti danno in smanie, evocano le Brigate Rosse, alzano il tono già molto teso, sputano sull´Europa, invocano le armi. Su quella paura hanno campato, è stato il provvido concime del loro raccolto elettorale, del potere, del sottogoverno, degli stipendi pubblici (tanti) scuciti alla pur detestata Repubblica italiana. Ma di quella paura ora sembrano le prime vittime, come l´apprendista stregone che non sa governare ciò che ha evocato. Li fa straparlare, li rende poco lucidi, li espone allo spietato accostamento tra la potenza biblica di quelle immagini di mare, di morte, di destino, e la loro miseria verbale, così facile da rivendicare come un merito quando si tratta di "parlare come il popolo", così pesante da gestire quando sono la Politica e la Storia a chiedere campo, a pretendere grandezza, o comunque decenza, anche da quei piccoli uomini che siamo. Di fronte alla Storia siamo tutti goffi e impotenti, solo che lo sappiamo: a questo serve la cultura, a misurare la propria ignoranza. Della Storia abbiamo tutti paura, dell´immigrazione senza freni anche. Ma sbraitare sulla battigia è la sola cosa che non ci verrebbe mai in mente di fare, ad impedircelo è quel poco di vergogna che ci rimane, e il fiato è meglio tenerlo in serbo per raccogliere i cadaveri degli annegati. Specie se, come i leghisti, si è bravi cristiani.
Michele Serra da La Repubblica del 11 maggio 2010
Se esistesse un Emilio Fede di sinistra, direbbe che Emilio Fede quello vero, con il suo pistolotto sprezzante su Roberto Saviano, ha espresso, su Saviano, un’ opinione molto simile a quella dei Casalesi. (Lo farebbe, però, storpiando il nome di Emilio Fede, perché storpiare apposta il nome di chi si odia è una delle forme retoriche preferite da Fede quello vero, che ai suoi nemici, e ai nemici del suo padrone, non riconosce neppure il diritto di avere un nome degno di essere detto). Fortunatamente un Fede di sinistra non esiste: è uno dei pochi privilegi che le rimangono, alla povera sinistra italiana. E dunque, conoscendo le profonde differenze di ruolo, di pensiero e di vita tra Fede e i Casalesi, ciò che va detto è altro, e forse, purtroppo, è ancora più grave. L’ idea che Saviano sia un vanitoso o un furbo che mette a frutto il suo successo editoriale giocando a fare l’ eroe è piuttosto diffusa negli strati meno pensosi e meno avveduti dell’ opinione pubblica. E’ un’ idea meschina e bugiarda (Saviano darebbe qualunque cosa, oggi, per riavere la vita decente che spetta a un ragazzo di trent’ anni, reo di scrittura e di niente altro, cittadino italiano e non suddito di una tirannia tribale africana), ma appartiene all’ indecente spirito servile di un Paese zeppo di morti alla ragione. Fede non ha fatto che raccoglierla da terra, e mostrarla alle telecamere.
LA REPUBBLICA del 8 aprile 2011
Il cima è così mefitico che uno, pur di migliorarlo, sarebbe anche disposto ad ascoltare le ragioni altrui. Per esempio si legge sul giornale che un deputato della Lega, Buonanno, vorrebbe imporre una tassa dell´uno per cento sulle rimesse degli immigrati. «Si tratta di otto miliardi di euro all´anno – spiega Buonanno – che frutterebbero ottanta milioni da destinare al volontariato». L´obiezione sarebbe che se l´immigrato (e il suo datore di lavoro italiano) sono in regola, quei soldi sono già tassati. Ma la proposta, messa così (soldi al volontariato) potrebbe anche essere discussa. Solo che, due righe sotto, lo stesso Buonanno definisce gli immigrati «furbi che piangono miseria qui e poi magari si fanno la casa nel loro paese». E subito si chiude lo stretto varco dell´ascolto, perché anche la migliore proposta del mondo, se servita in una salsa così guasta, condita dalla solita dose di razzismo, ha un sapore ripugnante. Nessun dialogo, nessuna collaborazione è possibile con chi fonda la sua prassi sul disprezzo sociale e sul pregiudizio etnico. Imparino a parlare la lingua della civiltà e della res publica, questi signori, e vedranno che improvvisamente le loro parole assumeranno un altro peso politico. Sono sotto esame tanto quanto gli immigrati. Ci facciano capire se hanno capito che abbiamo regole, qui in Italia, che non consentono deroghe per nessuna tribù: neanche la loro.
LA REPUBBLICA del 24 marzo 2011
Al glorioso liceo Parini in Milano un gruppo di insegnanti ha chiesto il trasferimento. Motivo: non sopportano più l´invadenza di alcuni genitori, che secondo i docenti in fuga sarebbero prodighi di consigli quanto di insulti e minacce. Sia o non sia eccessiva la suscettibilità dei prof, la questione sollevata è di assoluto rilievo. Riguarda l´autonomia della scuola pubblica, che non è insidiata solamente dalla grettezza ostile del governo, o dal ventilato ingresso di imprecisati "sponsor privati". Anche la famiglia, che in Italia è un´istituzione meritevole quanto ingombrante, minaccia l´autonomia della scuola nei (tanti) casi in cui genitori-sindacalisti e genitori-avvocati pretendono di ficcare il naso in faccende come la didattica e la disciplina, e sempre per difendere o giustificare i figli non ancora bamboccioni, ma già – con genitori così – sulla buona strada per diventarlo. Non so se, sull´argomento, la mia opinione sia rivoluzionaria o reazionaria, ma la famiglia deve stare il più possibile lontana dalla scuola. La scuola è il primo luogo dove i figli sono (finalmente!) sottratti alla protezione dei genitori. Siano ottimi o mediocri o pessimi i docenti, è affare dei ragazzi imparare a conoscerli e fronteggiarli, cominciando a prendere le misure della vita. Poiché il familismo italiano non conosce argini né pudore, sarebbe bene che qualcuno cercasse di fermarlo almeno sul portone di un liceo.
LA REPUBBLICA del 18 febbraio 2011
Dire "epidemia di pazzia" credo sia anti-scientifico, la pazzia non è un virus e dunque non contagia. Ma molte delle notizie italiane di questo periodo non trovano altra spiegazione plausibile. Per esempio: è nato un nuovo gruppo parlamentare (credo sia il duecentesimo), si chiamerà "Per le autonomie", e chi volesse coglierne la natura e le ragioni politiche deve fare riferimento a questa dichiarazione della senatrice Helga Thaler, promotrice del gruppo: «Non saremo l´equivalente dei Responsabili, vogliamo restare dove siamo e cioè in difesa delle autonomie senza schierarci né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra». Credo che neppure la senatrice Thaler (alla quale vanno i nostri affettuosi auguri) pretenda di avere detto qualcosa di comprensibile. Forse è un quiz, forse uno scherzo, forse una notizia falsa (non esistono né il gruppo "Per le autonomie" né la senatice Thaler), forse l´imprecisato luogo al quale allude la senatrice (né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra) esiste davvero nella Quarta Dimensione o nell´Oltretomba, forse il Cappellaio Matto o i sette nani o Caronte conoscono il percorso che porta fino a lì, anche se "lì", spiega Thaler, è "restare dove siamo". Manca una riga alla fine. Scrivo sedia, ornitorinco e Atlantic City, tanto è uguale.
LA REPUBBLICA del 25 marzo 2011
Con una scelta furbissima (la furbizia è la virtù di chi non ne possiede altre), il governo ha restituito qualche milione di euro a cultura e spettacoli caricandoli sul prezzo della benzina. Dando così modo al Giornale di sparare in prima pagina il ridicolo titolo "Benzina più cara? Colpa di Nanni Moretti", che aggiunge alla montagna d´odio accumulata negli anni contro la "cultura radical chic" una ulteriore cucchiaiata di cacca. Se a questo piccolo sfregio si aggiunge la nomina ai Beni Culturali di Giancarlo Galan, che può anche essere un genio della politica ma con i problemi della cultura ha la stessa dimestichezza che io ho con la cibernetica, si completa un quadro agghiacciante. La nomina non è stata fatta perché serviva un ministro dei Beni Culturali, è stata fatta perché serviva dare un ministero qualsivoglia a Galan (così come serviva dare un ministero, quello dell´Agricoltura, alla famelica pattuglia dei Responsabili: la cosa pubblica usata come moneta politica). Siamo di fronte alla somma aritmetica del peggio della Prima Repubblica (strapotere dei partiti) e del peggio della Seconda (strapotere dei mediocri). È una somma il cui risultato è zero per il Paese, molto per i suoi padroni politici.
LA REPUBBLICA del 19 febbraio 2011
Ieri le telefonate a Radio Padania schiumavano rabbia e indignazione per lo show tricolore di Benigni a Sanremo. Era prevedibile, ed è comprensibile. In vent’ anni di irresistibile ascesa, la Lega non ha incontrato sul suo cammino anti-nazionale che sparute, timide resistenze. I suoi capi e i suoi militanti si erano trovati nella fortunata (ma ingannevole) condizione di chi guida contromano senza incontrare nessuno nella corsia opposta, fino a convincersi che non esista flusso contrario. Grazie alla quasi fortuita circostanza del centocinquantenario (anche il Caso è motore della Storia), la Lega si trova di fronte, senza aspettarselo, un muro. E per giunta un muro di popolo (65 per cento l’ audience di Benigni!) che non è liquidabile con il tradizionale spregio per i «salotti», i «comunisti», gli intellettuali. Esiste l’ Italia e soprattutto esistono gli italiani, questo il sorprendente contrattempo che, a caldo, fa imbufalire la gente del Carroccio. A freddo, se è vero come dicono che Bossi è un capo saggio e navigato, sarà interessante capire se e quanto la Lega sarà capace di prendere atto di una realtà nuova, che la ricolloca (anche al Nord) nel suo naturale e legittimo ruolo di minoranza politica e soprattutto di minoranza identitaria: la stragrande maggioranza degli italiani si sente italiana. Prima ne prenderanno atto, meglio sarà per tutti.
LA REPUBBLICA del 9 marzo 2011
Pare che non poche delle Papi-girls, spalleggiate da quegli implacabili press-agent che sono le madri e i padri, considerino basso il salario e miseri i regali, e nelle loro ciance telefoniche lamentino la "tirchieria" del principale. Se avessero il tempo, nei pochi momenti di relax, di leggersi qualche bigino di storiae di economia, capirebbero che l’ andamento di tutti i mercati – compreso quello della Jolanda, come direbbe la Littizzetto – risente dei tempi e delle condizioni date. Nell’ ancién regime il monarca, essendo lui stesso lo Stato, disponeva di forzieri inesauribili, e poteva concedersi tante manutengole quante ne voleva. Almeno fino a che qualcuno, anche per ripianare il deficit, lo decapitava (altre epoche, altri tagli). Oggi quei tempi dorati sono irripetibili, e un povero premier, per quanto dal portafogli smisurato, non è in grado di emulare quei fasti. E deve farei conti, poi, con la canea abbaiante dei moralisti (tra i quali mi schiero, arf arf) che fanno le pulci perfino al modico conto lasciato al Cipriani di Venezia dalla grande attrice bulgara Bonev (l’ amica Bonev), 97mila miserabili euri, cifretta equivalente allo stipendio (lordo) di quattro anni di un operaio. Non disponendo, il Re Papi, delle riserve auree di Bankitalia, gli tocca tribolare perfino per quel saldo veneziano: e non ha ancora ricevuto il conto della gondola… Non c’ è trippa per le gatte: non per tutte, almeno. Facciano una cassa comune di solidarietà in vista dei periodi grami. È un mestiere, quello, che dura pochi anni.
LA REPUBBLICA del 20 febbraio 2011
Non credo che i tre anziani borghesoni milanesi che al Dal Verme inveivano contro l’inviato di "Anno zero" fossero di sinistra. Non lo sono neanche le duchessee contesse romane che hanno organizzato una cena pro-Silvio. Non lo sono la maggior parte dei confindustriali e degli italiani ricchi. E l’analisi del voto, città per città, conferma che nei quartieri del centro, tradizionale habitat degli italiani di censo alto, prevale il voto a destra: come da sempre. Come è nata, allora, la vulgata politica di questi anni secondo la quale il popolo tende a destra, la borghesia a sinistra? È nata per solide ragioni di propaganda: quando la destra non è più liberale (e dunque borghese) ma è populista, diventa fondamentale ingigantire la sua composizione popolare. La seconda ragione è culturale. Prevalentemente di sinistra sono, loro sì, i ceti intellettuali (professori, insegnanti, mondo della culturae dello spettacolo), edè in odio a loro che la destra alimenta l’onda di spregio contro i "radical chic". I tre abbienti milanesi che circondavano minacciosi il santoriano Formigli erano certamente più ricchi di lui (anche se più volgari), ma dandogli del "radical chic" potevano travestirsi da animosi protestatari che insorgono contro un privilegiato. Il geniale trucco della destra berlusconiana è esattamente questo: essere al potere, e con il culo al caldo, ma dare a bere ai suoi elettori che stanno facendo la rivoluzione.
LA REPUBBLICA del 10 marzo 2011
Potessi avere la soluzione di uno dei tanti misteri italiani, ne sceglierei uno apparentemente molto minore, ma carico di significati reconditi: l´autosospensione del ministro della Cultura Sandro Bondi. Da circa tre mesi è chiuso in casa, esacerbato e offeso dall´ostilità dell´opposizione ma anche – si dice – da gravi incomprensioni con la sua parte politica. Non va a lavorare, vuole dimettersi ma non si dimette (né viene dismesso), e questo è già sbalorditivo perché scardina ogni regola e ogni convenzione tra un salariato (Bondi) e i suoi datori di lavoro (noi cittadini contribuenti). Ma ben al di là di questo scandalo "tecnico", si intuisce nel caso Bondi un travaglio umano che, se spiegato, potrebbe darci qualche prezioso elemento in più per capire quella sorta di incantesimo collettivo che chiamiamo berlusconismo. Devoto tra i devoti, innamorato del suo Capo con un trasporto tanto assoluto e indifeso da disarmare molti dei potenziali detrattori, quest´uomo passionale e vulnerabile si è dato improvvisamente alla fuga, disertando un impegno politico (Bondi è anche uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl) che pareva ferreo. Che gli è accaduto? Da chi e da che cosa fugge? Sapesse mai spiegarcelo, un giorno anche lontano, sono sicuro che capiremmo molte cose di questi anni, così spiacevoli, così illeggibili.