LA REPUBBLICA del 8 febbraio 2012
"In un Paese normale dopo un fatto del genere ci si ritirerebbe a vita privata", dice Ignazio Marino a proposito del senatore Luigi Lusi. Il concetto parrebbe ovvio, ma ovvio non è. Accusato di avere fatto sparire la bellezza di 13 milioni dalle casse del suo partito (Margherita, poi Pd), Lusi non solo non si è ritirato a vita privata, ma occupa la vita pubblica con il piglio del protagonista, passandosela da capro espiatorio, da vittima predestinata, da "mostro che fa comodo a molti", in un crescendo sibillino e confuso di dichiarazioni e confidenze che tutto spiegano, tranne perché diavolo si sia appropriato di quattrini non suoi. Si capisce che Lusi, colpito da accuse tanto gravi, possa avere perduto lucidità, e cerchi di difendersi con tutte le sue forze. Ma si capisce, anche, quanto sia mutato, negli ultimi anni, il clima psicologico e culturale che circonda questo genere di reati. Un tempo erano una macchia infamante sull´onore del politico: bastava un avviso di garanzia per sentirsi fuori dai giochi. Oggi è come se questi maneggi disinvolti di denaro pubblico fossero parte integrante della lotta politica e dunque materia di dibattito, di distinguo, di contrattacchi polemici, in un guazzabuglio etico e perfino normativo che descrive spietatamente la progressiva perdita di senso del lecito e dell´illecito.
LA REPUBBLICA del 9 marzo 2012
Naturalmente il ministro Riccardi, per responsabilità di ruolo, deve rimangiarsi la frase su quanto è schifosa la politica quando è giochino di bottega, ricatto, sotterfugio ipocrita per non svelare i propri veri scopi. Ma quel giudizio, per quanto ruvido, esprime un sentimento diffuso, e ahimè ampiamente giustificato da quello che la politica dei partiti è stata, in larga misura, negli ultimi anni. Che un giudizio del genere non provenga da un qualunquista da bar, o da un grillino di passaggio, ma dal ministro di un governo che di politica (giusta o sbagliata che sia) ne fa a tonnellate, nonché da una persona impegnata nel sociale come dieci leader di partito messi assieme, è cosa che non può non mandare in bestia i mandarini del Pdl, che vedono il proprio potere usurpato dal "governo tecnico" e il proprio patrimonio di voti scemare di giorno in giorno. La novità che rende affascinante, incerto, decisamente inedito il panorama politico italiano è proprio questa: fuori dai partiti non c´è solo l´antipolitica, come è stato molto comodo dire negli ultimi anni. Fuori dai partiti c´è anche molta politica, e in questo momento, addirittura, c´è il governo. I partiti cominciano a capirlo, e per questo diventano ogni giorno più nervosi. Nel caso del Pdl, più aggressivi.
LA REPUBBLICA del 16 febbraio 2012
I (pochi) oppositori del "no" olimpico di Monti sostengono che il rilancio di un paese in crisi passa anche dalla fiducia nelle proprie forze e nel futuro, e rinunciare ai Giochi significa quasi ufficializzare il clima da Grande Depressione, perpetuandolo. Sarà: ma deprime di più pensare a un paese che, per anni, ha lasciato dissestare il proprio territorio e andare in malora le proprie infrastrutture, accettando treni vergognosi (a parte la Tav), servizi scadenti, scuole languenti, in cambio dell´illusione di Grandi Opere megalomani e spesso solo sulla carta, fumo negli occhi come il Ponte sullo Stretto, vetrine pacchiane che celano un retrobottega vuoto. Tra le famose "scelte della politica", specie in tempi di penuria, una normalità decente vale molto di più di una straordinarietà luccicante ma illusoria. Il famoso paese normale che tutti invochiamo – per ora inutilmente – è anche un paese che non considera mediocre o perdente una dignitosa quotidianità, e diffida dell´ottimismo cialtrone come delle sabbie mobili. Le Olimpiadi non dispiacciono a nessuno, ma il vero sogno italiano, di qui al 2020, sarebbe ristabilire un minimo di gerarchia tra l´indispensabile e il superfluo. Il secondo, senza il primo, è puro inganno.
LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2012
"La più colossale banca dati che il mondo abbia mai visto": così Vittorio Zucconi, ieri su questo giornale, definiva Facebook, aiutando anche i poco esperti in materia (per esempio me) a capire la favolosa quotazione in Borsa della società del giovane Zuckerberg. Zucconi calcola anche il valore commerciale di ciascuno degli ottocento milioni di abitanti di Facebook: dieci centesimi. Spiccioli che il social network ha saputo assemblare fino a farne una montagna d´oro, trasformando una moltitudine di singoli consumatori in un immane corpus transnazionale. Un archivio dei gusti umani consultabile da chiunque voglia farne commercio. Niente di illegale, è evidente, e neanche niente di subdolo: chi apre porte e finestre di casa sua in rete, sa bene di rendersi visibile non solo ad amichetti e amichette ciarlieri, ma anche alla più pervasiva e capillare rete commerciale della storia. Ma se questo gregge smisurato di umani, venduto e comperato all´ingrosso ogni millesimo di secondo, dovesse rendersi conto del pluslvalore che produce, e che gli viene oggettivamente estorto; e trovasse i modi e i mezzi per rivendicare per sé almeno parte dei miliardi lucrati sulla sua visibilità: beh, al confronto anche la rivoluzione proletaria sarebbe una barzelletta. E il mondo tremerebbe dalle fondamenta.
LA REPUBBLICA del 4 febbraio 2012
Era improbabile che la surrealtà nella quale noi italiani abbiamo vissuto per lunghi anni potesse essersi dissolta con la mera caduta politica del suo artefice massimo, Silvio Berlusconi. E infatti, non si è dissolta. Per celebrare, a Roma, l´esordio letterario del deputato Razzi (ex Idv, oggi Responsabile), si è materializzato, accanto allo stesso Razzi e a Berlusconi in persona, un sosia dell´onorevole Scilipoti. Già il fatto che il deputato Razzi (se non lo avete mai sentito parlare, non potete capire) abbia scritto un libro, costituisce una scherzosa effrazione della realtà così come l´abbiamo sempre conosciuta. Ma per elevare al cubo l´assurdità della circostanza, ecco il debutto pubblico di uno Scilipoti bis, della cui vera identità ovviamente nessuno si è reso conto perché già l´originale, lo Scilipoti vero, pare a sua volta il replicante di varie e antiche macchiette regionali del Sud. Quello avvistato l´altra sera a Roma era, dunque, il sosia di un sosia, così come, se Pulcinella è uno, i suoi interpreti sono tanti. Ha spiegato a un paio di giornalisti, serissimo, di non essere il solo sosia di Scilipoti. "Siamo in parecchi", ha detto. E non è affatto scontato che lo Scilipoti che siede in Parlamento sia quello vero.
LA REPUBBLICA del 7 febbraio 2012
Zapping casuale (e fulminante) domenica sera. Su Raitre, Gherardo Colombo sostiene che il vero problema del nostro Paese non è giudiziario, è culturale: la maggioranza degli italiani non capisce a che cosa servono le regole, e fino a che non lo capirà anche il più equo dei sistemi giudiziari potrà fare ben poco. Su Raidue, in quel preciso momento, Fabio Capello, uno dei più stimati allenatori italiani, a domanda risponde che Luciano Moggi è stato un eccellente dirigente sportivo (il giovane Andrea Agnelli, pochi giorni prima, aveva detto: il migliore di tutti). Neanche mezza parola sul processo per frode sportiva, sulle schede telefoniche estere regalate agli arbitri, sull´intera, complicata ma ineludibile vicenda che chiamiamo Calciopoli. Capello ha risposto, indirettamente, a Gherardo Colombo. Confermandone la tesi. Moggi è stato "il migliore di tutti" perché ha vinto moltissimo, non importa con quali mezzi, né trasmettendo quali valori al suo gruppo di lavoro. Le ombre etiche e le macchie giudiziarie sono considerate irrilevanti perché irrilevante, in fin dei conti, è il rispetto delle regole. Per molti italiani, anche di livello (Capello lo è), le regole sono considerate, in fondo, l´ultima risorsa dei deboli e degli invidiosi.
LA REPUBBLICA dle 19 febbraio 2012
Nel clima certo non favorevole ai partiti, stupisce che si sia parlato così poco, e in modo piuttosto frammentario, di uno scandalo che a me pare gigantesco, e davvero gravissimo in termini di credibilità della politica. Mi riferisco al finto tesseramento al Pdl, con migliaia, forse decine di migliaia di iscritti "a loro insaputa" (tra i quali, per garantire anche il lato comico, anche morti e comunisti…), compreso, per fare prima e non faticare troppo a stilare liste, l´elenco completo di un´associazione di cacciatori del Veneto. Pare che la causa scatenante di questo mercato fraudolento sia il controllo, regione per regione, del partito, che almeno sulla carta dovrebbe funzionare, di qui in poi, attraverso regolari congressi, proprio come se fosse un partito vero, e non più per acclamazione del suo fondatore, finanziatore e proprietario. La cosa triste, e politicamente micidiale, è che sarebbe dunque proprio l´abbandono del sistema ducesco-acclamatorio, e il transito alla democrazia, ad avere scatenato questa schifosa frode. Tanto per assestare un colpo in più – come se ce ne fosse bisogno – al sistema dei partiti. E dare qualche argomento in più a chi, della democrazia, proprio non sentiva l´esigenza, e gli bastava l´ovazione al Capo per sentirsi un militante modello.
LA REPUBBLICA del 15 marzo 2012
Sì, la ministra Fornero poteva evitare di dare in pasto ai cronisti la parola "paccata" (e più in generale: i professoroni al governo dovrebbero mantenere un aplomb più professorale). Ma che dire di una comunità mediatica che su quella parola costruisce la descrizione di una trattativa, quella sul lavoro, che dura da settimane, e attorno a frasette del genere disfa e ricuce la trama di un rapporto (quello tra governo, sindacati e Confindustria) che è complicato da capire perfino per i protagonisti? Che dire di un giornalismo per il quale ogni dissidio diventa "rissa", ogni inciampo diventa "rottura", e per speziare il suo minestrone quotidiano abusa di "proposte shock", "dichiarazioni shock", "notizie shock", come se l´opinione pubblica fosse sordastra e solo l´urlaccio nelle orecchie potesse attirare la sua attenzione? A che servono, poi, le pazienti ricostruzioni, le schede tecniche, le inchieste che sviscerano e spiegano, se la confezione è quasi sempre un titolaccio "shock", se i titoli dei telegiornali (che danno il là all´intero coro mediatico, anche quello di carta) si fabbricano con i cocci di frase raccattati nei corridoi? Sono i media grossolani a costruire un pubblico superficiale. L´alibi, poi, è accusare il pubblico di essere superficiale.
LA REPUBBLICA del 14 febbraio 2012
Èmolto in voga, tra i governanti deposti, lodare il governo Monti come ideale prosecutore della loro opera illuminata.
Da Alfano al socialista (ah! ah! ah!) Cicchitto e addirittura alla Santanché, che avendo sentito dire che Monti è "di destra" se ne sente in qualche modo imparentata. Il trucco è patetico, ma fa parte di quegli auto-inganni che aiutano a tirare avanti quando i conti con se stessi sarebbero troppo dolorosi. Basterebbe una lettura anche distratta della stampa del pianeta Terra per prendere atto che il cambio Berlusconi-Monti è vissuto, nel mondo intero, come un miracoloso ribaltamento: come se la Costa Concordia si raddrizzasse da sé sola, tirasse un muggito con la sirena e riprendesse la navigazione. Niente – non lo stile, non gli obiettivi, non la velocità di esecuzione, perfino non l’aplomb dei maschie delle femmine- rassomiglia, nel governo Monti, al precedente. Destra, per altro, significa poco, forse anche meno di sinistra. Di destra furono Mussolini e Einaudi, Almirante e Scalfaro. Di destra è la Minetti e probabilmente il ministro degli Interni Cancellieri. Non solo non c’è nesso, ma c’è una cesura clamorosa, mai vista nella storia repubblicana, tra la destra di Arcore e quella che ne ha pietosamente rimosso la salma.
LA REPUBBLICA del 3 marzo 2012
Il Quotidiano di Calabria chiede di dedicare il prossimo otto marzo a Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola, Giuseppina Pesce. Sono tre donne nate in famiglie di ‘ndrangheta che si sono ribellate al loro destino. Il patriarcato assassino che regge le sorti di quello sventurato pezzo di Italia ha ucciso la prima (Lea) e ha costretto al suicidio la seconda (Maria Concetta). Giuseppina è riuscita a fuggire ed è testimone di giustizia, a nome suo e di tutte le persone libere. Al Quotidiano arrivano migliaia di adesioni. Aggiungo anche la mia. Chi ritiene l´otto marzo una ricorrenza inutile, fuori tempo massimo, rifletta sulla condizione di assoggettamento e umiliazione che ha spinto Lea, Maria Concetta, Giuseppina al martirio e alla fuga. "Famiglia", nel meridione d´Italia, è spesso parola di spietata ambiguità. Rimanda alle mafie, ai vincoli ferrei e spesso mostruosi che fanno di ogni individuo non una persona, ma il membro di un branco; e fanno delle donne le custodi mute e sottomesse di quella catena di sangue, avidità e oppressione. Se a disobbedire è una donna, l´intera catena rischia di spezzarsi. Alle donne, nella maggior parte di questo pianeta, si adatta perfettamente ciò che Marx disse dei proletari: non hanno da perdere che le loro catene.