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Un’isola felice: di intelligente contaminazione, di amabile divulgazione, con spruzzi di spirito irriverente, il che non guasta. Trattasi di "Sostiene Bollani", trasmissione in sei puntate su Raitre, domenica sera verso mezzanotte. Troppo tardi? Certo, ma tanto è inutile dolersene, anche se, facendo i dovuti raffronti per fasce orarie, negli ascolti il pianista Stefano Bollani surclassa il polemista Giuliano Ferrara.
 
Prendete la puntata dell’altra sera. Magnifica. Quando mai succede di ascoltare sulle reti Rai due canzoni di Fausto Amodei? Sì, il barbuto cantautore e musicologo, classe 1935, animatore del gruppo torinese Cantacronache insieme a Michele Straniero, Sergio Liberovici e altri, tra i quali anche Italo Calvino e Franco Fortini, autore di inni politici come "Per i morti di Reggio Emilia" e invettive antifasciste come "Se non li conoscete".
 
Un cesellatore capace di far rimare "proseliti" con "high-fidelity"; un gigante della canzone popolare spesso dimenticato. Ma non da Bollani. Che gli ha dedicato un doppio omaggio: la frizzante "Il ratto della chitarra" cantato da Daniele Silvestri e la sempre attuale "Il gallo", cantata da lui stesso al pianoforte.
 
Magari bisogna essere a un passo dai sessant’anni per conservare i suoi album originali, che erano targati Dischi del Sole. Anche se nel 2006, dopo un periodo di silenzio e con la barba bianca, Amodei sfornò un nuovo cd, "Per fortuna c’è il cavaliere", e si rimise a fare concerti dal vivo con la sua chitarra.
 
L’uomo, per storia, esperienze e influenze sulla canzone italiana d’autore, meriterebbe uno special televisivo, uno di quei ritratti che ogni tanto Vincenzo Mollica dedica a talenti meno, diciamo, corposi. Ma intanto ringraziamo Bollani per averlo recuperato in questa dimensione nient’affatto nostalgica, porgendo al pubblico serale i due brani con grazia e arguta malizia.
 
Il ritornello del "Gallo" recita: «L’amor non è soltanto l’effimero diletto / che provi andando a letto con una che ci sta / L’amore è soprattutto l’orgoglio ed il prestigio / di chi sa d’esser ligio a un mito nazional». Non fosse stato chiaro il messaggio, ci ha pensato Elio, solito parrucchino in testa e faccia finto "espressionista", a precisarlo, intonando subito dopo "La ballata della schiavitù sessuale" da "L’opera da tre soldi" di Brecht-Weill, anno 1927. Laddove si dice: «Ma viene la sera e anche l’uomo retto / vuole qualcuno che gli scaldi il letto».
 
Anche così, senza mettere troppe didascalie, si fa buona satira, benché il quarantenne Bollani miri ad un discorso culturale – non è una parolaccia – più complesso e articolato, che usa la musica eseguita dal vivo in studio per incuriosire la platea e accompagnarla verso qualcosa di diverso, meno usurato dalla ripetizione radiofonica. Funambolo della tastiera scherzosamente incoronato nel 2008 Gran Visir del Sultanato del Jazz, il pianista milanese non si atteggia però a guru, come Giovanni Allevi.
 
Ha scritto Aldo Grasso, recensendo sul "Corriere della Sera" la prima puntata della trasmissione: «Se in tv esistesse lo scambio delle figurine, per una di Bollani sarei pronto a sacrificarne venti di Allevi. Per un giusto risarcimento: nella vita quelli che non si prendono troppo sul serio, quelli che sanno scherzare su di sé e sul proprio lavoro, quelli che non ripetono continuamente "io sono un genio", ebbene costoro rischiano di passare in second’ordine rispetto a chi è capace di far pesare il suo ego extra large».
 
Proprio così. Liberato dalla presenza a tratti invadente di David Riondino e ben sorretto dai cinque autori, Bollani si muove sui terreni musicali più disparati: dalla canzonetta più corriva agli improvvisi di Chopin, da Mendelssohn a "My Way" di Sinatra, da Fred Buscaglione a Peter Angela, che poi sarebbe il nome d’arte del giovane Piero Angela quando suonava nei club jazz di Torino e non pensava di fare "Quark". In effetti, un po’ entertainer e un po’ istitutore, «usa la tastiera come una chiave per entrare in un mondo magico e vagamente scombinato, dove i tradizionali confini della musica sono stati aboliti» (ancora Grasso).
 
La controprova viene dal duetto, davvero preciso e ispirato, con Daniele Silvestri, altro ospite della puntata. Insieme hanno eseguito, replicando la collaborazione discografica, "Questo Paese". L’ultimo verso, riferito proprio alla fortuna dell’Italia, fa: «Così hai voglia a cercarla tra i mille canali / sia su quelli analogici che sui digitali / ma non serve aumentare la definizione / per vedere più grande un coglione». Già.  

 


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