LA REPUBBLICA del 24 gennaio 2012
In un dibattito televisivo il rappresentante dei farmacisti italiani – un signore anziano e combattivo – non ha saputo o voluto dire quanto rende, in media, una farmacia in una grande città. Ha saputo e voluto dire tutto il resto: quali problemi, quali rinunce, quali ingiustizie la categoria rischia di patire con la (parziale) liberalizzazione del settore. E ha anzi molto insistito con il conduttore affinché si parlasse di cifre e di aspetti concreti. Ma uno dei dati decisivi per formarsi un´opinione sulla questione – quanto guadagna una farmacia bene avviata – è stato platealmente omesso. È francamente incomprensibile la reticenza degli italiani riguardo ai quattrini: sono diventati, per come va il mondo, il segno dei segni, la regola delle regole, eppure quando si tratta di dire quanto si guadagna il discorso si fa pudico e omertoso, come se si stesse parlando di sesso. Questo rende molto più complicato, e forse insolubile, il discorso sulle cose economiche, perché il nocciolo se ne resta nascosto dentro una densa polpa fatta solo di lamentele e autocommiserazione, come se ogni categoria professionale fosse in ginocchio, bistrattata, discriminata. Guadagnare bene non è una colpa, e anzi, se si pagano le tasse, è un merito e un vantaggio per tutta la comunità. Quando lo avremo capito saremo un paese meno infantile e meno querimonioso.
LA REPUBBLICA del 11 gennaio 2012
Le dimissioni di Malinconico erano un atto dovuto, e urgevano per preservare il buon nome di un governo che vanta discontinuità e dunque deve dimostrarla ogni giorno. Ma non basteranno a spegnere l´incendio anti-casta, che divampa senza più distinguere gli alberi tarlati da bruciare, e quelli sani da rispettare. Non solo le vacanze pagate dalle varie cricche, anche quelle pagate di tasca propria ormai valgono come capo d´imputazione per chi fa politica. L´altra sera alla radio una signora invelenita rinfacciava a Rutelli il Natale alle Maldive (frequentate da centinaia di migliaia di italiani) accusandolo "di non avere mai lavorato". Non sono un fan di Rutelli, ma in quell´accusa stridula e assurda risuonavano i peggiori umori (da forca) di una fetta ahimè larga di opinione pubblica, che ha il sangue agli occhi e ha stabilito che è "la politica", in sé, il capro espiatorio di tutte le nostre tare. E il clima è tale che il conduttore, di solito perspicace, non ha avuto l´ovvia accortezza di replicare alla signora che la politica, quando è fatta con coscienza, è un lavoro eccome. E non dei più facili. Latrare contro "i politici", presi in un solo mazzo come lestofanti e scrocconi, è un´idiozia come tutte le fole che fanno le veci della realtà. E, quel che è peggio, prepara il campo al primo dittatore o demagogo in grado di fare propri quegli umori da servi maldicenti.
LA REPUBBLICA del 4 gennaio 2012
La manifestazione di centomila ungheresi contro la nuova Costituzione del governo nazional-autoritario di Viktor Orban è una richiesta d´aiuto all´Europa. Ci si domanda, però, che cosa l´Europa possa fare di concreto, quali strumenti abbia per "sorvegliare" la salute della democrazia nei paesi membri. La percezione, oramai molto diffusa, è di una super-entità perennemente assorbita dalla questione economica, fibrillante ad ogni sussulto finanziario, ma evanescente dal punto di vista politico. Volendo essere ottimisti a tutti i costi, c´è da sperare che le autorità europee abbiano ben presente lo stretto, storico nesso tra recessione e fascismo. Che sappiano che l´isterismo nazionalista, condito di xenofobia e antisemitismo (di questa pasta è il governo ungherese) prospera nella crisi economica e nell´insicurezza sociale. E dunque ritengano che combattere la recessione sia la via più diretta per tutelare la democrazia.
L´ipotesi infausta è, invece, che l´Europa sia costretta a occuparsi solamente di economia perché le è precluso ogni altro genere di autorevolezza. Con buona pace dei manifestanti ungheresi, che lanciano un Sos udibile solo dalle opinioni pubbliche europee, non nei palazzi di Strasburgo e Bruxelles.
LA REPUBBLICA del 25 gennaio 2012
Anteporre una buona scuola professionale a una mediocre e tardiva laurea, come ha fatto il viceministro Martone, significa affrontare un tabù. Nella tradizione classista del nostro Paese, le scuole professionali e i lavori manuali sono considerati da sempre lo sbocco naturale dei figli dei poveri; la laurea, il dovuto approdo dei figli dei ricchi. E dunque, quel politico che faccia l’elogio delle scuole professionali rischia di passare per un reazionario che non vuole aprire a tutti le porte dell’università. Ma io credo che Martone alludesse a un’altra verità, tutt’altro che reazionaria: tra un "dottore" dequalificato e mal pagato e un artigiano che sa il fatto suo, chi se la passa meglio? La destrezza manuale è, tra l’altro, cultura essa stessa, specie in un Paese di artigiani e tecnici sopraffini quale siamo da qualche secolo. Il disprezzo per il lavoro manuale in quanto tale, e per scuole professionali a volte ben più brillanti e funzionali di certi deprimenti atenei, è uno dei veri grandi problemi dei nostri figli. Convinti, anche per colpa nostra, che un dottorato a prescindere valga un’autorevolezza sociale che solo il lavoro (anche manuale) è invece in grado di dare. Una società di piccolo-borghesi frustrati non è affatto migliore di una società di artigiani e operai realizzati.
LA REPUBBLICA del 5 gennaio 2012
I controlli fiscali a Cortina, a ridosso di Capodanno, saranno anche ispirati da "una concezione ideologica del controllo fiscale", come dichiara il socialista (risate!) Cicchitto. Ma si dà il fatto che gli eventuali pregiudizi "ideologici" sono stati clamorosamente confermati dai risultati. Centinaia di auto di lusso erano intestate a persone che dichiarano 30 mila euro all´anno. A Cicchitto basterebbe fare due conticini elementari per capire che qualcosa non quadra. E che, con ogni evidenza, se la Guardia di Finanza ha gettato le reti proprio a Cortina, e non a Igea Marina, è perché ogni lavoro ben fatto punta a ottimizzare i risultati. Nei paesi civili, dove per evasione fiscale si finisce in prigione, a nessuno viene in mente di strillare contro il Fisco ideologico e lo Stato di polizia. Quanto all´ideologia, se in questo Paese esiste una politica punitiva contro chi produce reddito e contro i benestanti, questa politica vede come protagonisti incontrastati gli evasori fiscali. Posso certificarlo proprio in quanto benestante: mi vedo circondato da persone che pur dichiarando un reddito dieci volte inferiore al mio, hanno un tenore di vita dieci volte superiore. Li considero nemici dello Stato e miei personali.
LA REPUBBLICA del 26 gennaio 2012
Nel nostro paese il novanta per cento delle merci viaggia in camion. Al di là di ogni questione ecologica (l´impatto ambientale è disastroso), colpisce la quasi totale dipendenza dei nostri consumi dagli autotrasporti. E il conseguente, smisurato potere (anche di ricatto) che la categoria può vantare nei confronti della società intera. Se i consumi a chilometri zero e la filiera corta vi sembrano solo ridicole utopie, o snobberie da nostalgici, ecco un´ottima occasione per rifletterci sopra, come si dice, laicamente. Il mercato, da sé, non è in grado di distinguere (ne è interessato a farlo) tra consumi virtuosi e consumi viziosi. Ma noi, magari, potremmo almeno provarci. Le arance siciliane a Milano sono una logica conquista (a Milano non crescono arance), ma bere a Roma acqua minerale delle Alpi, o mangiare in Piemonte peperoni olandesi, è una fesseria indotta da interessi del tutto estranei a quelli di chi li compera e li mangia. Comperare un cibo o una merce significa anche pagargli il biglietto del viaggio, ma quasi nessuno ci pensa. Il linguaggio dei consumi è complicato, o cominciamo a impadronircene, e a governarlo, o restiamo analfabeti, e come tali manipolabili, e sottomessi, e in balia di meccanismi destinati a sovrastarci in eterno.
LA REPUBBLICA del 6 gennaio 2012
Calderoli che critica Mario Monti per la sua condotta a Palazzo Chigi riporta implacabilmente al vecchio detto "raglio d´asino non sale al cielo". Palazzo Chigi, oltre che sede della presidenza del Consiglio, è residenza privata del capo del governo in carica. Che quest´ultimo ci dorma, ci faccia la doccia e ci mangi, anche ospitando (per giunta a spese proprie) chi gli aggrada, è dunque la più lecita delle cose. Formidabile, poi, è che Calderoli e i suoi osino accusare Monti di uso privato della cosa pubblica essendo loro per primi ampiamente colpevoli proprio di quel misfatto. A spese dei contribuenti hanno fatto aprire a Monza un ridicolo pseudo-distaccamento ministeriale usandolo, in sostanza, come una sede di partito: se ne è occupata anche la magistratura. La mancanza di stile (istituzionale e personale) dei capoccia leghisti è così conclamata che promette di finire sulle antologie. Scelgano altri terreni, dunque, sui quali attaccare Monti, che per il generale sollievo degli italiani (anche di chi ne osteggia le scelte politiche) è un signore, e succede a un governo ampiamente popolato da cafoni e vice-cafoni. Di quel governo Berlusconi era l´anima, la Lega il dito medio.
LA REPUBBLICA del 27 gennaio 2012
Neppure il tradizionale caos che regna a sinistra, con la perenne lite tra le sue dieci o venti componenti, può mettere in ombra l’orrendo spettacolo offerto del centrodestra.
Con una clamorosa aggravante: che a destra gli attori sono solamente due, Pdl e Lega, Berlusconi e Bossi. Ma pur potendo contare su un cast così risicato, l’ex maggioranza riesce a mettere in campo l’intera gamma delle ambiguità, delle ipocrisie, del colpo basso e del fratricidio. Bossi che sbaciucchia Berlusconi e dieci minuti dopo gli dà della "mezza cartuccia", Berlusconi che appoggia Monti mentre i suoi giornali gli danno dello strozzino, Bossi che pretende la testa di Monti servita su un vassoio e usa Formigoni come scudo umano, Maroni ridotto a muto mamozio sotto il palco di Bossi che grida le sue cosacce fuori sincrono (come Ghezzi alle tre di notte su Raitre), il sindaco di Adro – un burino mai visto, mi si perdoni l’eufemismo – che insolentisce il capo dello Stato, mezzo Pdl che sorride a Monti (la destra decente: un’apparizione imprevista!) e l’altro mezzo che medita di fargli le scarpe… Esiste ancora una destra, in Italia? Cosa pensa? In cosa crede? Che programmi ha? Dopo anni che facciamo queste domande (inutilmente) alla sinistra, possiamo concederci una breve pausa di ricreazione.
LA REPUBBLICA del 15 dicembre 2011
Ma i deputati leghisti che sbraitano in Parlamento contro la manovra del governo, e se la passano da Paladini del Popolo, sono gli stessi deputati leghisti che fino a venti giorni fa hanno votato senza fiatare qualunque porcata, qualunque legge che tutelasse l´impunità e i profitti del loro alleato miliardario, e negli ultimi anni hanno permesso che la pressione fiscale aumentasse, gli enti locali si impoverissero, i servizi sociali diminuissero? Ma sì, certo che sono gli stessi. Imbarazzanti nel ruolo di alleati di ferro dell´uomo più ricco d´Italia, imbarazzanti nella rinnovata veste di rivoltosi a scoppio ritardato e di secessionisti rifatti. Di tutti i partiti si può dire, con qualche forzatura malevola, che hanno per scopo la propria conservazione. Ma per la Lega questa è una verità al cubo: nell´affastellarsi concitato di fasi istituzionali e fasi rivoluzionarie, poltrone da ministro italiano e megafoni secessionisti, urla contro "Berlusconi mafioso" e cenette fraterne ad Arcore, retate di camorristi e pallottole ai giudici, provincialismo bonario e odio etnico allo stato puro, il solo elemento leggibile è l´avventura di un gruppo di vecchi amici che cercano, a qualunque costo, di rimanere a vita sulle prime pagine dei giornali e conservare qualche seggio a Roma. A cosa serve la Lega? Serve alla Lega.
LA REPUBBLICA del 7 gennaio 2012
È UN PERIODO STORICO – almeno per questo Paese – davvero sorprendente. Le carte si rimescolano fino al paradosso. Contro Equitalia e il fisco cinico e baro si ritrovano fianco a fianco i bombaroli postali e gli impellicciati nullatenenti beccati a Cortina. Certi volantini insurrezionalisti, e certi orfani della destra di governo. Si presume non frequentino gli stessi circoli, né che abbiano gli stessi autori di riferimento, anche se in qualche maniera coltivano tutti quanti il sogno anarchico di fare a meno dello Stato e delle sue regole. In rete e su qualche quotidiano molto combattivo si leggono, sulla crisi in corso, cose molto di sinistra contro le banche e la finanza. Che paiono ben dette, e condivisibili, fino a che ti rendi conto che vanno a lambire il famoso complotto pluto-giudaico, e in quelle acque putride rischiano di nuotare fianco a fianco con il paranoico nazista, o con il leghista che dà i numeri. Periodo sorprendente, dicevo, ma anche faticoso. Che richiede discernimento, intelligenza, e cura delle proprie parole. La recessione è una malattia dell´economia che diventa facilmente malattia della psiche collettiva. Per i sani di mente, la responsabilità raddoppia.