Archive : Category

LA REPUBBLICA del 20 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Se un macellaio vi vende carne marcia, o un falegname vi consegna una sedia con le gambe rotte, non c’è cavillo giuridico che possa salvarli dall’obbligo di risarcimento. Perfino i medici sono chiamati a rispondere di eventuali lesioni dovute a cure sbagliate o interventi maldestri. La sentenza di Milano che riconosce responsabili quattro banche per avere investito il denaro del Comune nei famosi “derivati” — l’equivalente finanziario della carne marcia e della sedia con le gambe rotte — è dunque storica perché “laicizza”, finalmente, l’idea stessa che abbiamo del sistema bancario, sconsigliando, per il futuro, la classica definizione di “santuari della finanza”. Se è vero che esiste un margine di rischio (ogni investitore è tenuto a saperlo), è anche vero che le banche, negli anni precedenti il crac del 2008 e la paurosa crisi susseguente, hanno non solo accettato di trattare robaccia dal rendimento dopato e dalle basi inconsistenti; ma hanno – smerciando quella robaccia a piene mani – contribuito a renderla normale, plausibile, consigliabile. Così come il mestiere del macellaio è controllare che la carne non sia guasta, non dovrebbe una banca, fatto salvo il margine di rischio, verificare che un prodotto finanziario non sia una bufala? 

LA REPUBBLICA del 3 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La foto di Lele Mora che lavora in un campo soddisfa, di primo acchito, il facile piacere di vedere un ex privilegiato faticare come l’ultimo dei braccianti. Ma è questione di un attimo – il tempo di mettere davvero a fuoco quell’immagine – e si vede solo un uomo di una certa età che prova ad affidare a mani e braccia il compito di ridare un poco di senso, forse una regola, a un’esistenza travolta prima da una tempesta economica, poi dallo scandalo e dalla galera. Non ho nessuna simpatia per Mora, per il lavoro vacuo e cortigiano in cui eccelleva, per l’odiosa leggerezza con la quale ostentava le sue simpatie mussoliniane. Ma quella foto non può che generare rispetto. Rimanda a qualcosa che sappiamo (o intuiamo) riguardare tutti, indistintamente: nell’umiltà del lavoro manuale, e specialmente del lavoro agricolo, c’è una misura che dissolve molti inganni, e suggerisce la più ovvia, la più basica delle ripartenze: chinare la schiena. La fatica fisica è stata, per i nostri avi, una maledizione. Per molti regimi carcerari è una punizione. Per un evo ammalato di virtualità, potrebbe essere una guarigione. 

LA REPUBBLICA del 30 novembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Conosco chi voterà Bersani perché preferisce la persona, ma spera che sia Renzi a vincere. E conosco chi voterà Renzi perché è attratto dall’energia dell’età e dal fascino della novità, ma ha il terrore che se vince il sindaco di Firenze non sarà “la vecchia nomenklatura” a essere rottamata, ma il prezioso Dna socialista e umanitarista che è il sale della sinistra passata, presente e futura, e che Bersani incarna. Poi c’è il mio amico G. che mi ha chiesto: “È grave se cerco di imbrogliare e vado a votare per tutti e due? ”. Mi tratta come se fossi un proboviro, ormai ho quasi l’età. La verità è che un eventuale ticket Bersani-Renzi (o Renzi-Bersani se fosse il sindaco di Firenze a vincere il ballottaggio) ricomporrebbe con buona approssimazione i connotati di una sinistra al tempo stesso dinamica e solida, vivace e attendibile, e alle politiche sarebbe quasi imbattibile. L’unico vero difetto delle primarie è che, per loro natura, minacciano di scomporre le energie di un’area politica, costringendole a elidersi. Bisognerebbe capire se i rispettivi “staff” (uno dei tanti virus aziendalisti che hanno contaminato la politica) sarebbero disposti, nel caso di un’intesa tra i due capi, a fare un passo indietro, riponendo nei bauli le armi improprie sfoderate per le primarie. 

LA REPUBBLICA del 28 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Un paio di vecchi autorevoli amici mi fanno sapere, a mezzo tra il sapiente e il gossiparo, che il prossimo governo sarà senza ombra di dubbio un Monti-Bersani o un Bersani-Monti. Non so se l’ipotesi, che circola con insistenza, penalizzi di più Bersani o Monti. Ma qualora si verificasse sarebbe l’ennesima controprova dell’anomalia italiana. Perché sarebbe un governo di destra-sinistra (o di sinistra-destra) nato con l’intenzione, ancora una volta emergenziale, di preservare la Repubblica, il suo bilancio, la sua dignità e i suoi vincoli europei dai cascami ripugnanti di un’epoca ripugnante, quella di Berlusconi. Se fossimo un paese normale, e normalmente dedito a compiere serenamente le sue scelte economiche e sociali, Monti sarebbe il capo del centrodestra e Bersani del centrosinistra, si affronterebbero a viso aperto, uno dei due andrebbe a Palazzo Chigi e tutti, vincitori e sconfitti, il giorno dopo andrebbero a dormire sereni. Ma se fossimo un paese normale Berlusconi avrebbe avuto lo stesso ruolo e lo stesso peso di Le Pen in Francia: un energumeno ai margini della democrazia.

LA REPUBBLICA del 4 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il pazzesco scandalo di Tributi Italia è forse il peggiore e il più indigesto, perché ci illumina sulla natura sociale – ben prima che politica – della corruzione italiana. Si tratta, secondo le accuse, di imprenditori privati (non di onorevoli, o consiglieri regionali, o membri a qualunque titolo della “casta”) che riescono a introdursi nel delicato rapporto tra Comuni e cittadini frodando (agli uni e agli altri) tributi per milioni di euro. Dentro lo scandalo c’è tutto: l’inefficienza di un’amministrazione pubblica costretta ad appaltare a veri e propri gabelloti (istituzione neo-medioevale) la riscossione delle tasse. La catastrofe ormai ventennale di privatizzazioni che, con il pretesto mendace di affidare al mercato una gestione virtuosa dei servizi, li regalano a potentati e lobbies di ogni risma, che in quasi totale assenza di controlli fanno i propri porci interessi in barba a quelli della collettività. L’intrinseco, peloso, funesto “comune sentire” tra cittadini ladri e politici ladri, gli uni mandanti degli altri e viceversa, è la sola vera questione morale. Ed è trasversale alla “casta” così come alla “società”. Contrapporle è un equivoco mortale: è dentro entrambe che gli onesti devono unirsi per fare la rivoluzione contro i ladri. 

LA REPUBBLICA del 7 dicembre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Il coretto delle miss, ancora invaghite del loro vecchio impresario; il “boia chi molla” di qualche scudiero dismesso che sogna di essere richiamato alle armi; qualche applauso sul web, dove per la legge dei grandi numeri un “evviva! ” tocca anche all’ultimo dei mediocri; l’appoggio (per contratto) dell’unico giornale di destra che gli è rimasto ciecamente fedele per la sola, umiliante ragione che è suo. Per il resto, l’autocandidatura di Berlusconi, stridula e anacronistica, cade sul centrodestra italiano come un macigno. È la mano del morto che afferra i vivi, e a parte i prezzolati, gli incauti, i fanatici del personaggio, non c’è italiano di destra che non veda l’accanimento ottuso con il quale l’ex capo, ex fondatore, ex premier, ex tutto sta sfasciando la loro casa comune. A sinistra si dovrebbe gongolare, tanto evidente è il vantaggio che avrebbe Bersani se dovesse affrontare una mummia politica di tale fatta. Invece viene malinconia per l’immeritato, ultimo sbrego che questo pessimo leader, e pessimo italiano, ha voluto infliggere agli amici, agli avversari, a un paese intero e al suo già esile tentativo di meritarsi un futuro. 

LA REPUBBLICA del 3 gennaio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La quasi totale rimozione della questione sociale è stato il tratto politico più forte, e più sconvolgente, degli ultimi anni. Soprattutto in Italia, dove questa rimozione ha indossato la maschera tragicomica del berlusconismo, poveri o semipoveri che venerano il più ricco, come se le sue promesse bugiarde fossero l’oppio indispensabile per dimenticare per sempre di essere svantaggiati, subalterni, umiliati. Anche alla luce di questo lungo inganno, mi ha fortemente colpito l’articolo di Gad Lerner ( Repubblicadi ieri) sulla povertà, meglio sull’impoverimento che oramai lambisce anche le porte di chi ci è parente o amico. Sostenere – come fa Lerner – che il compito prioritario della politica è combattere la povertà non solo non è una banalità; è, nei fatti, una rarità (giornalistica così come politica). Ma nello sgretolarsi del welfare, nella contrazione paurosa del lavoro, quale altro obiettivo può essere più importante, e al tempo stesso più innovativo, dell’organizzazione di un argine sociale alla miseria e alla solitudine? “Una nuova società più conviviale nella quale ritrovare il modo di aiutarci”, scrive Lerner. Mi sembra, con buona approssimazione, l’eccellente sintesi del programma elettorale di qualunque sinistra. 

LA REPUBBLICA del 9 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ogni volta che sento di giornalisti contigui ai servizi segreti capisco in quale area di privilegio – quella del freddurista/ fantasista – ho sempre potuto muovermi: neanche al più sgangherato degli spioni potrebbe venire in mente di contattare uno come me, che confonderebbe un dossier con il libretto di istruzioni della caldaia. Questo vuol dire che, per mia fortuna, conto pochissimo. Ciò detto, mi chiedo come facciano questi colleghi (parola malinconica in sé, tristissima se detta tra giornalisti) a reggere il peso del loro ruolo. Già questo mestiere è gravato da condizionamenti pesantissimi: il primo dei quali, indiscutibilmente, è la mediocrità personale di ciascuno di noi. Poi si è vincolati a un editore, e dunque soggetti a qualche ovvia limitazione, meno grave se si è scelto un editore in sintonia con le proprie idee, ma pur sempre in atto. Se poi all’editore “in chiaro” si aggiunge un editore occulto (servizi, logge, gruppi di potere), ecco che la vita del giornalista diventa un autentico inferno. Mi auguro che la cassa mutua dei giornalisti rimborsi le terapie psichiatriche per i colleghi finiti nel tunnel dei servizi. 

LA REPUBBLICA del 4 gennaio 2013 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Bravo il capitano del Milan Albertini (e chi lo ha assistito nella scelta) che ha fatto uscire la squadra dal campo di Busto Arsizio per reagire ai cori razzisti di un gruppo di tifosi. Era solo un’amichevole, ma può diventare una partita storica se l’esempio del Milan dovesse costituire un precedente, di qui in avanti. Con un corollario, però. Indispensabile. La gente di Busto Arsizio (istituzioni, società sportiva, tifosi civili) deve prendere uno per uno i razzisti di curva e denunciarli, o quantomeno spiegargli a muso duro che sono dei mascalzoni nocivi: perché è la comunità cittadina, per prima, ad avere subito un danno di immagine e anche un danno di sostanza (l’interruzione della partita). Le curve ultras vivono di un finto campanilismo che è, in realtà, puro parassitismo. Stanno alla città come la cosca sta al quartiere: ne succhiano il sangue e lo trasformano in veleno. Della città sono nemiche, ne usurpano il nome e gli spazi per il loro miserabile gioco di ruolo. Perfino il sindaco di Busto Arsizio, che ieri è sembrato parecchio confuso nel giudicare l’accaduto, è in grado di recuperare raziocinio e decenza affrontando i razzisti come vanno affrontati: chiamandoli per nome, e isolandoli. 

LA REPUBBLICA del 16 ottobre 2012 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Qualcuno riesce a immaginare un liceo tedesco che, nel 2012, esponga nella sua aula magna un quadro encomiastico raffigurante Adolf Hitler? Ovviamente no. E allora: perché un liceo di Ascoli ha pensato di esporre nella sua aula magna un ritratto di Benito Mussolini a cavallo? (E perché un sindaco del Lazio ha intitolato addirittura un mausoleo al maresciallo Graziani, genocida, gasatore di africani, tra i simboli più spregevoli del razzismo e del colonialismo? E perché, nelle sue varie forme, l’apologia del fascismo prospera nel nostro paese, unico in Europa?). Ispiratore di Hitler e del nazismo, suo complice diretto nella deportazione e nel genocidio degli ebrei (degli italiani ebrei: traditore, dunque, del suo popolo), Mussolini gode negli ultimi anni di una sorta di inspiegabile franchigia. Per colpa di una destra ignorante e frustrata, diversa da tutte le destre di governo europeo, è passata l’idea che il sedicente Duce fosse, a differenza del suo allievo tedesco, un dittatore blando, e uno statista vittima degli inciampi della storia. Il risultato è che un preside di scuola, funzionario pubblico, si stupisce e si rammarica delle reazioni suscitate dal ritratto equestre di colui che ci portò alla guerra razzista, e alla rovina della Patria. 
Torna all'inizio