LA REPUBBLICA del 2 settembre 2011
L´aumento dell´Iva non è previsto, però «è attivabile in qualsiasi momento». In queste parole (ennesime) del capo del governo è riassunta l´assurdità congenita della sedicente "manovra", che oggi c´è domani no, taglia le pensioni però non le taglia, risparmia i Comuni ma forse non li risparmia, abolisce le Province però solo tra un paio di legislature… Incredibile ripensare come quest´uomo, quando è disceso in campo per salvarci tutti quanti (anche noi che non volevamo…), ha speso soprattutto la sua fama di imprenditore e di "uomo del fare", reso efficiente e pragmatico dal suo lavoro, e portato a Roma in trionfo da una folla plaudente che vedeva in lui il giustiziere di una classe politica pasticciona, lenta, compromissoria, indecisa a tutto. Oggi eccolo qui, il milanese che lavora e non ha tempo per le chiacchiere, il capitano d´azienda dinamico e provvido, che pasticcia con le cifre, tentenna, ribalta decisioni, ostaggio permanente (in politica come altrove) da compagni di viaggio che lo tengono per la collottola e gli fanno dire il giorno dopo il contrario di quello che ha detto il giorno prima. Così che gli unici effettivi risanatori dei quali si potrà avere memoria sono Ciampi e Amato, alti funzionari pubblici, tipico prodotto (di alta gamma) dell´amministrazione di Stato. Furono ben più duri e ben più rapidi del presuntuoso "cumenda" sceso dal Nord per combinare un tubo.
LA REPUBBLICA del 24 agosto 2011
I famosi "miliardari russi", alcuni dei quali protagonisti, dopo la caduta dell´Urss, di una delle più colossali spoliazioni di beni collettivi mai viste nella storia dell´umanità, hanno ormai rimpiazzato nel nostro immaginario gli sceicchi arabi. Panfili di speciale cafonaggine e spese sfrontate ne segnano il passaggio nelle località turistiche più celebri e anche più trite, dove nemmeno Christian Vieri si fa più vedere, e dove loro arrivano con qualche decennio di ritardo sulle mode, per l´incredula gioia di albergatori e ristoratori che non speravano più di poter vuotare i freezer e le cantine. Alcuni di costoro acquistano e gestiscono squadre di calcio (russe e non) triplicando o quadruplicando investimenti e stipendi, e rovesciando sul tavolo da gioco tanti quattrini quanti ne dovrebbero bastare, in teoria, a sbaragliare ogni avversario. Ma fin qui hanno vinto poco o nulla, e i titoli di giornale che li riguardano non misurano le vittorie, ma lo sfondamento sistematico di ogni criterio economico e di ogni fair-play. Chi crede che il denaro non sia tutto segua le imprese dei nuovi ricchi dell´Est: sono una preziosa testimonianza che effettivamente no, il denaro non è tutto.
LA REPUBBLICA del 8 settembre 2011
L´ipotesi dell´apocalisse finanziaria, del default italiano poi europeo poi mondiale volteggia sulle nostre teste. Ma provate a materializzarla, a capire come cambierebbe concretamente il mondo, che cosa perderemmo, a quali rinunce saremmo costretti, e non ci riuscirete. La povertà classica aveva il volto antico della fame, del freddo, della penuria. E la povertà futura? Il rapporto tra prodotto interno lordo mondiale ed economia finanziaria è uno a otto: i beni concretamente prodotti dagli esseri umani con il loro lavoro sono appena un ottavo del folle vortice virtuale che si chiama economia finanziaria. Quando i giornali gridano "bruciati in un solo giorno cento miliardi di euro", non riusciamo a vedere né il fuoco né il fumo, a calcolare il danno: come se si aprisse una falla in una diga che non sappiamo, e dunque non possiamo riparare. L´istinto sarebbe contare quanto frumento rimane in granaio, quante patate e quanto vino in cantina, quanti soldi nel portafogli, quanto gasolio in caldaia. Non riuscire a farlo, e non poterlo fare, genera un´angoscia inedita, un disorientamento assoluto, come quando si ignora il volto del nemico. La sola cosa che abbiamo capito con certezza e che la totale perdita di nesso tra la vita materiale (il lavoro, il cibo, i manufatti, persino il denaro che pure è già un´astrazione) e l´economia mondiale è un segno di malattia. E la malattia fa sentire insicuri perfino più della povertà.
LA REPUBBLICA del 28 agosto 2011
"Prassi diffusa nel territorio, cui il gruppo è stato costretto ad adeguarsi". Così si difende la conceria vicentina accusata dalla Finanza di un´evasione colossale: oltre cento milioni di euro. Non so se gli autori di quel comunicato ne hanno contezza, ma essere "costretti ad adeguarsi a una prassi diffusa nel territorio" è giustificazione tipica dei luoghi di mafia. È a Corleone, è in Aspromonte che ogni reato, ogni comportamento illecito viene fatto risalire, allargando le braccia, a un invincibile condizionamento ambientale. La differenza è che in terre di mafia chi si ribella rischia la vita. Laggiù nel Vicentino (profondo Meridione d´Europa) ribellarsi significa rischiare di guadagnare meno schei.
Una comunità di ex contadini poveri e ex migranti è diventata ricca lavorando duro e tagliando i ponti con le regole dello Stato e quelle del sindacato. Come i cinesi di Prato, ma molto prima di loro. Con una coesione interna ferrea e omertosa (non si possono evadere cifre del genere senza il consenso di tutti, operai per primi). Per evitare il solito commento "moralista": se tutto questo fosse servito a erigere una società migliore, pazienza. Ma quante librerie, quanti cinema, quanti teatri, quanta socialità, quanta buona architettura, quanta ecologia, quanta bellezza è stata realizzata, grazie alla cospicua refurtiva? Da Arzignano, in questo senso, non arrivano buone notizie.
LA REPUBBLICA del 27 luglio 2011
Maiali in piazza Affari, ieri mattina a Milano, davanti alla Borsa che mai aveva udito grugnire sotto la sua bella facciata bianca. Colpo d´occhio notevole, una manifestazione di contadini (uomini e bestie) nel luogo dove l´economia si fa meno concreta, più immateriale, e niente valgono le mani, il sudore, il lavoro fisico. Il primario (che vuol dire: il cibo, il nutrimento della vita) spunta guadagni da fame perché dentro quel grande palazzo bianco, e nei suoi omologhi sparsi per il mondo, pochi speculatori giocano sui prezzi dei cereali, dei mangimi, di tutto quanto viene prodotto al mondo dal lavoro umano, e decidono il destino del pane, della carne, del latte e delle persone che quei fondamenti producono, che su quei fondamenti campano. Mai la parola "valore" fu più storpiata, se il risultato è che il valore del cibo, della terra, della natura è niente rispetto all´azzardo e allo strapotere del capitale finanziario. Più o meno nello stesso momento i pastori sardi protestavano a Cagliari, perché il prezzo del latte è così basso da non coprire neanche le spese. Chi conosce appena un poco l´agricoltura e i suoi problemi ha una richiesta da fare: non chiamatelo più "primario", perché suona come una beffa per un settore che viene ultimo, ignorato e umiliato.
LA REPUBBLICA del 14 luglio 2011
«Tra le ragazze c´è chi ha avuto una Land Rover, chi è stata eletta in Consiglio regionale. Non è certo un reato». Uno degli avvocati di Nicole Minetti ha così riassunto (molto efficacemente) l´andazzo del regimetto berlusconiano: le cariche pubbliche usate come una gratifica, un regalo a disposizione delle dame di corte. All´avvocato (e non solo a lui) sfugge la differenza tra una Land Rover e un mandato politico: la prima si paga con i propri quattrini, il secondo è a carico dei cittadini, che a Minetti pagano il notevole stipendio (sui diecimila al mese) di tasca propria, attraverso il prelievo fiscale. Tecnicamente, dunque, le mantenute del Capo diventano le mantenute di noi tutti, ovviamente senza chiederci se siamo d´accordo. Sono convinto che Minetti non abbia rimesso il suo mandato non per protervia, ma perché soffre dello stesso analfabetismo civico di chi l´ha messa su quella sedia. Non hanno la più pallida idea dell´esistenza di una sfera pubblica che risponde a regole e princìpi che non sono gli stessi in voga nei concessionari d´auto, e dunque credono davvero che regalare un´automobile o un filo di perle o una carica pubblica sia la stessa cosa. In conclusione, e seguendo il filo logico dell´avvocato: forse non è un reato, però – mi scuso per la sintesi – fa veramente schifo.
LA REPUBBLICA del 7 luglio 2011
Ci saranno anche utili scrupoli e pensose alternative, dietro la decisione del Pd di astenersi sull´abolizione delle Province proposta da Di Pietro. Ma l´effetto sull´opinione pubblica – devastante – è quello di un voto di potere, che assimila l´astensione del Pd alla posizione di Pdl e Lega, che le Provincie se le tengono strette. Non può essere un caso che i tre maggiori partiti italiani, cioè quelli con il personale politico più numeroso, si siano messi di traverso, e dopo anni (decenni) che si discute di snellire l´enorme apparato buro-politico e ridurne i costi, abbiano ottenuto l´ennesimo rinvio. Come non pensare che il sistema dei partiti anteponga i suoi problemi interni (di personale, di posti di lavoro, di fette di potere da gestire) alle esigenze del Paese? E come non pensare che questo meccanismo auto-riferito, e quasi autistico, sia così devastante da spingere il principale partito di opposizione – in un momento come questo, poi – a confondersi con interessi di casta, a irritare molti dei suoi elettori, ad alzare un mattone in più nel maledetto muro che separa gli eletti dagli elettori? Un partito non è un´azienda, si dice da anni a sinistra per segnare le distanze dal berlusconismo. Ma se poi, quando si vota e si decide sugli assetti della politica e sulla vita amministrativa, un partito vota come se fosse un´azienda che difende i propri interessi, la differenza diventa molto meno percepibile.
LA REPUBBLICA del 28 luglio 2011
Se io ti picchio o ti uccido perché tu sei omosessuale, la legge italiana mi condannerà per averti picchiato o ucciso. Ma il movente del reato, ovvero ciò che ha fatto di me un carnefice e di te una vittima, non potrà avere alcun rilievo processuale: il Parlamento italiano ha deciso che accettare l´omofobia tra le aggravanti penali sarebbe "anticostituzionale", perché introdurrebbe un discrimine in favore dei cittadini omosessuali… A ciascuno stabilire se questo voto sia più ridicolo o più osceno. Fingendo di combattere un discrimine giuridico ritenuto omofilo, nega l´esistenza del solo pesante discrimine in opera, che è quello omofobo. Di aggressioni contro eterosessuali al grido di "sporco etero" non si ha infatti notizia, non essendo la cosiddetta "normalità" oggetto di odio o di intolleranza. Mentre di violenze omofobe, al grido di "lurido frocio", che è al tempo stesso un´offesa e una rivendicazione, sono piene le cronache italiane (specialmente romane), ed è in virtù di questa dolorosa e inaccettabile realtà, non certo di astrazioni da leguleio, che si discuteva in Parlamento una legge contro l´omofobia. Questa legge non è passata, e il governo più eterogeneo e diviso del secolo ha ritrovato tutta la sua sicumera per negare compattamente agli omosessuali il diritto di avere un´identità perfino quando per quella identità vengono uccisi.
LA REPUBBLICA del 29 giugno 2011
Quello che passerà alla storia come il processo del Bunga Bunga sta dipanando il suo racconto giudiziario non dico in sordina, ma certamente non in primissimo piano. È come se appartenesse a una fase precedente della vita pubblica italiana. Più che polemiche arroventate, solleva pietose riflessioni. Una delle testi non può presentarsi perché sta dando la maturità, e basterebbe questo dettaglio a far capire che l´accaduto non ha per argomento la morale sessuale, ma la patologia sociale dalla quale (forse) stiamo faticosamente uscendo. Che ci facesse una ragazzina (molte ragazzine) in quei palazzi, in compagnia di un paio di vecchi maschi vanitosi, non è cosa che può spiegarsi con l´eros. La seduzione di un primato politico e di un primato economico entrambi ostentati (coincidenti in una sola persona, e già questo è patologico) ha travolto, per anni, ogni altro criterio, ogni altra logica. Non tanto il pudore sessuale, quanto il pudore sociale ne è uscito annichilito. La disparità smisurata (di età, di censo, di potere, di tutto) tra l´anfitrione e le giovanissime ospiti avrebbe dovuto e potuto suscitare, in molte di loro, una prudente, istintiva diffidenza, e un salvifico "no grazie". Se non è stato così – né per loro, né per milioni di italiani – non è per un difetto di moralità, ma per una micidiale eclissi di quell´orgoglio di classe che è l´unica via di salvezza delle classi subalterne. Olgettine comprese.
LA REPUBBLICA del 3 agosto 2011
uando si legge "Italia nel mirino", "attacco all´Italia", si vorrebbe capire meglio. "Italia" non è un concetto così compatto, così rotondo da permetterci di equivocare su differenze sociali enormi, che espongono ai morsi della crisi in modo assai difforme. Ci sono italiani che vincono e perdono in Borsa milioni di euro, italiani per i quali un crollo in piazza Affari è solo un´eco lontana. Ci sono italiani per i quali i tagli allo stato sociale sono un dramma vero, altri che non ne risentono affatto. Ci sono italiani per i quali un aggravio fiscale anche di mezzo punto è un´ulteriore mazzata, altri ai quali non importa nulla perché dichiarano redditi ridicoli e il loro bottino è in nero, nascosto e inattaccabile come il bottino del ladro o il gruzzolo del tirchio. Nei tempi andati si è forse esagerato, con "l´analisi di classe". Ora si è caduti nell´errore opposto, le classi e i conflitti di classe sono spariti dal discorso politico, espunti dal vocabolario corrente, e proprio in un momento storico di drammatica contrapposizione tra interessi diversi, spesso opposti. Il salariato e lo speculatore, il giovane precario e Marchionne non stanno giocando la stessa partita. È bene che esista un sentimento nazionale, di comunità, ma è bene anche che questo sentimento non valga come sipario ipocrita, come truffa ideologica per occultare le ben differenti condizioni sociali ed economiche nascoste nella parola "Italia".