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LA REPUBBLICA del 13 marzo 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Leggere le cronache su alcune inchieste giudiziarie (vedi le recenti indagini sulla cosiddetta P4 e il faccendiere di Stato Bisignani) e capirci pochissimo è tutt´uno. La colpa non è dei giornalisti, che cercano di raccontare quello che riescono a sapere. Né dei giudici, che cercano di dissotterrare i reati da una spessa coltre di segreti e silenzi. La colpa (dal suo punto di vista un merito) è di un potere politico ed economico che mai come in questi anni è riuscito a rendersi imperscrutabile, opaco, fuori controllo. Riusciamo a capire solo che gli interessi, le alleanze, gli scontri che determinano molte delle scelte nevralgiche per la collettività (gli appalti, il controllo del credito, la spartizione dei profitti) agiscono in una zona d´ombra, al riparo di ogni forma di controllo istituzionale, di visibilità pubblica, insomma di democrazia. Molto potere e molti quattrini in poche mani, zero potere e pochi quattrini nelle mani di tutti gli altri. E´ sempre stato così? Forse sì. Ma in un clima politico meno rassegnato, più integro, la scoperta della P2 destò, nell´Italia di allora, uno scalpore enorme. P3, P4 e domani P5 e P6 possono contare su un vantaggio enorme: la disarticolazione della politica e la nostra rassegnazione. Due facce della stessa medaglia. 

LA REPUBBLICA del 17 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
La (tostissima) avvocatessa della signorina Minetti, l’ altra sera da Lerner, ha suggerito al premier di accettare il processo e sottoporsi al giudizio. Ma è come chiedere a Berlusconi di non essere Berlusconi. Lui il giudizio, prima ancora di non sopportarlo, non lo concepisce. Il suo segreto e la sua forza, nonché ciò che lo rende insopportabile a noi e nocivo alla serenità nazionale, sta proprio in questa incapacità congenita di misurarsi con il giudizio degli altri. Che questo riveli una patologica insicurezza di fondo, è argomento che lasciamo agli psicologi. A loro le cause, a noi l’ onere di sopportarne (da vent’ anni) i sintomi: rifiuto di ogni confronto televisivo, fastidio per ogni domanda diretta, lodi sperticate a se stesso ("sono il più grande presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni": non basterebbe questa frase per capire che non sta bene?), reazioni scomposte alle critiche e soprattutto attribuzione di ogni critica all’ "invidia", di ogni inciampo a "congiure", di ogni errore agli errori altrui. Essendo il processo un contraddittorio per eccellenza, come volete che possa affrontarlo? Gli parrà persecuzione ciò che è accertamento, odio ciò che è prassi di legge, arbitrio ogni accusa. Lo vedo piuttosto in fuga ad Antigua, dove rimuginare su quanto è bravo lui, e quanto cattivi gli altri. 

 LA REPUBBLICA del 25 gennaio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca

Pare che alla prossima "Isola dei famosi" parteciperanno la mamma di Valeria Marini, il figlio di Brigitte Nielsen, il fratello di Materazzi, la figlia di Ambrogio Fogar, la sorella di Balotelli e la nipote di Fabrizio De André. Ciascuna di queste persone merita tutto il nostro affetto, e a conoscerle meglio, avendone il tempo e soprattutto la voglia, sono sicuro che meriterebbero anche la nostra stima. Non è questo il punto.

Il punto è che, nel casuale affastellarsi di cognomi così variamente assortiti, si può leggere la definitiva potenza del Modello Televisivo: una specie di soluzione finale che azzera differenze e retaggi come neppure a Stalin, che evidentemente aveva meno mezzi, sarebbe riuscito. Perché laddove la nipote di Einstein e la cugina di Vanna Marchi (mettiamo) si ritrovassero a spartire un capanno, e a contendersi una noce di cocco, allora vuol dire che siamo davvero, e finalmente, tutti uguali e tutti iscritti alla stessa gara. Non era poi questo, esattamente questo il sogno radicale delle grandi rivoluzioni sociali? Poi resta da stabilire, ovviamente, se contendersi tutti insieme una noce di cocco mentre la Marcuzzi o Sgarbi (non so, non me ne intendo) commentano dallo studio, sia la vita ideale che avevamo sognato per la Futura Umanità. Ma questo è un altro discorso. 

LA REPUBBLICA del 24 febbraio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Vorrei invitare a cena il 10 marzo, per suo risarcimento e per mia curiosità umana, l’unico spettatore che aveva acquistato l’unico biglietto venduto per il concerto di Mariano Apicella sul prestigioso palco degli Arcimboldi in Milano. Lo show, finanziato da anonimi filantropi che avevano affittato il teatro per 15mila euro, è stato sospeso per una ventilata "minaccia di contestazioni", più probabilmente per il non eclatante risultato della prevendita: un unico spettatore, per quanto entusiasta, non garantisce quel minimo di calore che aiuta l’artista a dare il meglio di sé.

Considerando che questi sono tempi grami per la cultura, e che la premiere di Apicella era pur sempre una premiere, credo che questo solitario e misterioso spettatore non vada abbandonato alla sua delusione. Dunque lo invito volentieri a cena, per conversare con lui di arte e di canzone, pur sapendo di espormi a un rischio non trascurabile. Il rischio è che quell’unico biglietto venduto sia stato acquistato dalla stessa persona che ha organizzato l’esordio milanese di Apicella, ha affittato il teatro, ha apprezzato e apprezza l’opera del Maestro ed era disposto ad applaudirlo, solo nel buio, fino al bis. Il rischio, insomma, è ritrovarmi a cena con Silvio Berlusconi.

LA REPUBBLICA del 3 febbraio 2011  

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
A Casoria (Italia) c’ è un piccolo museo di arte contemporanea. Il suo direttore, Antonio Manfredi, esasperato dalle intimidazioni di camorra e dai continui vandalismi, ha chiesto per iscritto "asilo politico-culturale" alla Germania, nella persona del cancelliere Merkel, specificando che il "gesto estremo, che può sembrare provocatorio, è per noi l’ ultima possibilità". A parte l’ ovvia ma fraterna solidarietà a Manfredi e al museo assediato dall’ ignoranzae dalla violenza, c’ è da chiedersi se una così inaudita notizia (un museo italiano che chiede asilo e salvezza all’ estero) avrà adeguato riscontro politico. E cioè se il ministro della Cultura Bondi e il presidente del Consiglio Berlusconi vorranno – anche per formale cortesia – dire qualcosa o addirittura fare qualcosa. Non bastasse la nuova emigrazione qualificata, diplomati, laureati e ricercatori che cercano di organizzare la fuga, sono i quadri di un museo a temere che nella cintura napoletana, per loro, non ci sia futuro. Sempre che non vogliano, quei quadrie quel museo, chiedere la benevola protezione di una delle simpatiche "famiglie" locali, magari in cambio di un paio di tele da appendere sopra la Jacuzzi. E sempre che un direttore così irriducibile non venga insignito anche lui, come Saviano, del titolo di rompicoglioni, o di "professionista dell’ antimafia".

LA REPUBBLICA del 5 febbraio 2011

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dunque. La Camera dei deputati del vostro e mio Paese ha votato, a maggioranza, a favore della seguente tesi: Silvio Berlusconi telefonò alla Questura di Milano perché effettivamente convinto che la minorenne marocchina ivi trattenuta fosse la nipote di Mubarak, e di conseguenza era "preoccupato di tutelare le relazioni internazionali" (sono le parole testuali dell’onorevole Maurizio Paniz, del Pdl). Le ipotesi interpretative, secondo logica, sono due e due soltanto. Prima ipotesi: 315 deputati della Repubblica hanno avallato con il loro voto questa ricostruzione perché convinti che sia vera. Ne consegue che considerano il (loro) presidente del Consiglio uno scemo totale, così sprovvisto di discernimento da poter credere che una delle signorine prezzolate conosciute a Arcore fosse la nipote di un capo di Stato, e avendolo saputo, per giunta, di averla ugualmente scritturata per i suoi festini. Secondo caso: i 315 deputati hanno sottoscritto questa esilarante storiella sapendo perfettamente che è una balla. Ma preferiscono sottoscrivere il falso piuttosto che ammettere che il (loro) presidente del Consiglio possa finire davanti ai giudici per una malinconica faccenda di prostituzione minorile. Dopo il voto vittorioso, parecchi nella maggioranza ridevano. Di che cosa è difficile dire, visto che con il loro voto hanno certificato di essere o dei sostenitori di un cretino, o dei pubblici mentitori.

LA REPUBBLICA del 18 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Dire "epidemia di pazzia" credo sia anti-scientifico, la pazzia non è un virus e dunque non contagia. Ma molte delle notizie italiane di questo periodo non trovano altra spiegazione plausibile. Per esempio: è nato un nuovo gruppo parlamentare (credo sia il duecentesimo), si chiamerà "Per le autonomie", e chi volesse coglierne la natura e le ragioni politiche deve fare riferimento a questa dichiarazione della senatrice Helga Thaler, promotrice del gruppo: «Non saremo l´equivalente dei Responsabili, vogliamo restare dove siamo e cioè in difesa delle autonomie senza schierarci né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra». Credo che neppure la senatrice Thaler (alla quale vanno i nostri affettuosi auguri) pretenda di avere detto qualcosa di comprensibile. Forse è un quiz, forse uno scherzo, forse una notizia falsa (non esistono né il gruppo "Per le autonomie" né la senatice Thaler), forse l´imprecisato luogo al quale allude la senatrice (né con la maggioranza, né con il terzo polo, né con la destra, né con la sinistra) esiste davvero nella Quarta Dimensione o nell´Oltretomba, forse il Cappellaio Matto o i sette nani o Caronte conoscono il percorso che porta fino a lì, anche se "lì", spiega Thaler, è "restare dove siamo". Manca una riga alla fine. Scrivo sedia, ornitorinco e Atlantic City, tanto è uguale. 

LA REPUBBLICA del 6 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Nella sarabanda di vado, vengo, torno, rimango dei vari deputati nei vari gruppi parlamentari si cerca invano un bandolo politico, qualcosa che rimandi alla famosa "battaglia delle idee". Nel nome della quale ci si è scannati per secoli, allegando però a quelle pratiche cruente il non piccolo codicillo di sapere perché, per cosa ci si scannava. Ora le porte sbattono, e gli insulti volano, all’ insegna di un minuto e misterioso narcisismo, illeggibile se non dai diretti protagonisti. Detto "io" si crede di avere detto tutto, come se quell’ io bastasse, da sé, a motivare lo strappo, il tradimento, il pentimento. Se le ideologie erano sistemi troppo rigidi, che imponevano discipline e gerarchie para-militari (militare e militante sono termini quasi sovrapponibili), ora ciascuno risponde solo a se stesso. Ma il "se stesso" è un attore troppo fragile, perché espone – ben più del discrimine ideologico – alle accuse di avidità, cialtroneria, indegnità morale che infatti si affastellano contro i vari transfughi. Sarebbero derisi e disprezzati con meno foga se potessero dire di avere tradito, o tramato, o ceduto perché sopraffatti da cause più grandi di loro (il socialismo, il libero mercato, la monarchia, Dio, varie ed eventuali). Invece fanno tutto per se stessi, e se uno non è perlomeno Gandhi o Mandela o Bonaparte, agire per se stesso è davvero il più futile dei moventi.

LA REPUBBLICA del 19 febbraio 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Ieri le telefonate a Radio Padania schiumavano rabbia e indignazione per lo show tricolore di Benigni a Sanremo. Era prevedibile, ed è comprensibile. In vent’ anni di irresistibile ascesa, la Lega non ha incontrato sul suo cammino anti-nazionale che sparute, timide resistenze. I suoi capi e i suoi militanti si erano trovati nella fortunata (ma ingannevole) condizione di chi guida contromano senza incontrare nessuno nella corsia opposta, fino a convincersi che non esista flusso contrario. Grazie alla quasi fortuita circostanza del centocinquantenario (anche il Caso è motore della Storia), la Lega si trova di fronte, senza aspettarselo, un muro. E per giunta un muro di popolo (65 per cento l’ audience di Benigni!) che non è liquidabile con il tradizionale spregio per i «salotti», i «comunisti», gli intellettuali. Esiste l’ Italia e soprattutto esistono gli italiani, questo il sorprendente contrattempo che, a caldo, fa imbufalire la gente del Carroccio. A freddo, se è vero come dicono che Bossi è un capo saggio e navigato, sarà interessante capire se e quanto la Lega sarà capace di prendere atto di una realtà nuova, che la ricolloca (anche al Nord) nel suo naturale e legittimo ruolo di minoranza politica e soprattutto di minoranza identitaria: la stragrande maggioranza degli italiani si sente italiana. Prima ne prenderanno atto, meglio sarà per tutti.

LA REPUBBLICA del 16 marzo 2011 

PUBBLICATO IL  agosto 6 -  L'Amaca
Mentre i sondaggi, e più in generale l’umore del Paese, lasciano intendere la possibilità di un’alternativa politica, lo scambio di insolenze tra Grillo e De Magistris ci riporta alla realtà. L’opposizione è un campo di battaglia tra leader e leaderini occupatissimi a vantare una caratura di "purezza" superiore a quella del vicino di pianerottolo. Queste persone sono terminali di speranze, di umori di cambiamento, di voti (specie giovanili). Ma evidentemente non se ne sentono responsabili. Da solo, ognuno di loro conta come il due di picche (anche se presume di essere almeno il tre), eppure maneggia la sua scheggia di consenso come un’arma contro la concorrenza. Primo tra gli ultimi: questo è evidentemente l’obiettivo che si danno questi concessionari della pubblica indignazione.
 
A sinistra del Pd, e comunque fuori da esso, c’è una marea di voti dispersa in cento rivoli. Tra i voti in sonno degli astensionisti (milioni) e il voto irrequieto che si riversa su Idv, Sel, Cinque Stelle, Verdi e altre particole, stiamo parlando di un quinto e forse un quarto dell’elettorato italiano: il doppio della Lega. Non solo l’umiltà, anche l’intelligenza vorrebbe che i gestori di questo patrimonio non lo dilapidassero. Dei loro sbocchi di narcisismo noi non sappiamo che farcene. Berlusconi sì. 
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